Un anno fa, Joe Biden s’insediava alla presidenza degli Stati Uniti. Cinque anni fa, Donald Trump s’insediava alla presidenza degli Stati Uniti. In cinque anni, Trump è rimasto uguale a se stesso: egocentrico, patologicamente bugiardo, incapace d’ammettere un errore e d’accettare una sconfitta, ma sempre pronto ad arringare e sobillare il suo popolo. Ogni sua sortita – l’ultima sabato scorso – lo conferma: un disco non rotto, ma che ripete sempre e solo lo stesso ritornello, “Avevo vinto io nel 2020, vincerò di nuovo nel 2024”.

In un anno, Biden ha invece subito più metamorfosi di Brachetti in un’ora sulla scena: prima, i suoi cento giorni da leone, anzi da tigre – diventa Tiger Joe; poi, c’è il ritorno di Sleepy Joe, soporifico e inefficace; e, dopo il disastro del ritiro dall’Afghanistan, ecco Messy Joe, o peggio Sloppy Joe, Joe il pasticcione, che non ne azzecca una; adesso, i titoli annunciano ‘il ritorno di Joe’, un auspicio più che una certezza, nella lunga e inevitabile campagna elettorale di qui al voto di midterm, fissato all’8 novembre.

C’è il rischio che le elezioni di metà mandato, che sovente penalizzano il partito al potere, rendano ai repubblicani il controllo del Congresso e facciano di Biden una ‘anatra zoppa’, non più incapace, cioè, di realizzare il proprio programma, ma impossibilitato a farlo. E c’è quindi la concreta ipotesi che ci si ritrovi il 20 gennaio 2025 a un altro fermo immagine della nostra storia: il re-insediamento di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il ritorno dell’ ‘io’ al posto del ‘noi’.

Non sarebbe la prima volta nella storia Usa: nel 1888, il repubblicano Benjamin Harrison sconfisse il democratico Grover Cleveland, presidente in carica; ma nel 1892, Cleveland si prese la rivincita e si riprese la Casa Bianca. Non ci siamo ancora; e, forse, non ci arriveremo. L’età è un handicap sia per Biden, oggi 79 anni, che per Trump, oggi 75; e le inchieste del Congresso e della magistratura potrebbero mettere fuori gioco il magnate ex presidente, per la sommossa del 6 gennaio 2021 oppure per frodi ed evasioni finanziarie e fiscali.

E infatti democratici e repubblicani già preparano soluzioni alternative: se i democratici ‘giocano al massacro’, demolendo i possibili candidati, a partire dalla vice di Biden Kamala Harris, e immaginando persino un remake del 2016, Hillary vs Donald, i repubblicani allevano in vitro cloni del magnate ex presidente. Ma il film che vedremo non è stato ancora girato e neppure scritto.

Che cosa può salvare Biden e i democratici da una sconfitta nel midterm che creerebbe i presupposti di una sconfitta nel 2024? Riccardo Alcaro, un analista dello IAI, rivaluta su AffarInternazionali.it l’operato del presidente in carica e offre spiragli di speranza: “Il fallimento dell’agenda per i diritti sociali e civili di Biden ha messo in secondo piano l’approvazione a novembre dell’Infrastructure Investment and Jobs Act, che prevede investimenti per circa 1200 miliardi di dollari in acquedotti, strade, ferrovie, aeroporti, porti, tecnologie verdi. E’ un risultato eccezionale, non solo per la mole di fondi allocati, ma anche perché è il primo grande piano infrastrutturale federale dagli Anni 60. Inoltre la legge è passata con voto bipartisan al Congresso, una circostanza del tutto straordinaria nell’iperpolarizzato panorama politico americano di oggi”.

Nell’opinione pubblica, e sui media, l’impennata dell’inflazione ha prevalso. Però, avverte Alcaro, “il piano infrastrutturale comincerà a dare frutti nel corso del 2022. La speranza per Biden, che è crollato nei sondaggi (la media lo dà al 41-42%), è che questo compensi gli effetti negativi sull’economia del rialzo degli interessi (che dovrebbe però riportare l’inflazione sotto controllo). Biden deve anche puntare a un’attenuazione entro l’estate del Covid, nonché scommettere sul fatto che l’elettorato progressista possa essere mobilitato dalla denuncia delle restrizioni al voto adottate in tanti Stati a guida repubblicana. Un’altra variabile importante è la potenziale mobilitazione contro la sentenza della Corte Suprema, attesa per giugno, che potrebbe decretare che l’aborto non è più un diritto costituzionale”.

Ma se anche tutto ciò dovesse verificarsi potrebbe non bastare, se Biden e la ‘galassia democratica’, dalla sinistra ‘neo-socialista’ agli iper-moderati alla Joe Manchin e Kyrsten Sinema, non ritrovano coesione e compattezza contro il comune nemico, Trump e il ‘trumpismo’.

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