Frena l’incremento dei casi (+3%), ma i decessi aumentano del 49,7% in 7 giorni. Nell’analisi settimanale della Fondazione Gimbe emerge anche che rallenta l’aumento di ricoveri (+14%) e terapie intensive (+2,3%) anche se gli ospedali sono ancora sotto pressione a causa dell’onda di contagi provocati dalla variante Omicron. L’obbligo vaccinale “spinge” le prime dosi degli over 50 che in una settimana segna+28,1%.

LA FRENATA DEI CASI E L’AUMENTO DEI MORTI – Nella settimana 12-18 gennaio, rispetto alla precedente, “una stabilizzazione dei nuovi casi a quota 1,2 milioni e un aumento delle ospedalizzazioni (+2.381) dei pazienti in area medica e in terapia intensiva (+38). Frena dunque l’incremento dei casi (+3%), ma i decessi aumentano del 49,7% in 7 giorni”. “Una frenata nazionale della curva che risente di situazioni regionali molto diverse”, commenta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Nel dettaglio della crescita dei decessi, dal report emerge che sono “2.266 negli ultimi 7 giorni (di cui 158 riferiti a periodi precedenti), con una media di 324 al giorno rispetto ai 216 della settimana precedente”.

Resta alta la pressione sugli ospedali – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi sanitari della Fondazione Gimbe – in cui i posti letto occupati da pazienti Covid continuano ad aumentare, seppur più lentamente: rispetto alla settimana precedente +14% in area medica e +2,3% in terapia intensiva”. Al 18 gennaio, “il tasso di occupazione nazionale da parte di pazienti Covid è del 29,8% in area medica e del 17,8% in area critica. Ad eccezione di Molise e Sardegna, tutte le Regioni superano la soglia del 15% in area medica, con la Valle d’Aosta che raggiunge il 57,1% – evidenzia il report – ad eccezione di Basilicata e Molise, tutte superano la soglia del 10% in area critica”. “In lieve flessione gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Marco Mosti, direttore Operativo della Fondazione Gimbe – la cui media mobile a 7 giorni scende a 141 ingressi al giorno rispetto ai 146 della settimana precedente”.

LA SPINTA – La recente introduzione dell’obbligo vaccinale per gli over 50 “spinge le prime dosi” e “inizia a mostrare i primi effetti”: nella settimana 12-18 gennaio in questa fascia anagrafica i nuovi vaccinati sono stati 128.966, pari a +28,1% rispetto alla settimana precedente. Complessivamente, nello stesso arco di tempo i nuovi vaccinati sono stati 510.742 rispetto ai 496.969 della settimana precedente (+2,8%) e sono stabili le nuove vaccinazioni nella fascia 5-11 anni (pari a 240.920), che rappresentano quasi la metà delle prime dosi.

I TAMPONI – In 7 giorni si registra un aumento del numero totale dei tamponi totali effettuati (+10,8%), passati da 6.926.539 della settimana 5-11 gennaio a 7.672.378 della settimana 12-18 gennaio, con un incremento dei tamponi rapidi (+856.687 pari a +17,8%) a fronte di una leggera flessione di quelli molecolari (-110.848 pari a -5,3%). La media mobile a 7 giorni del tasso di positività dei tamponi molecolari si riduce ulteriormente (dal 25,4% al 21,2%), mentre rimane stabile (14,4% vs 14%) per gli antigenici rapidi.

La Fondazione Gimbe ha poi condotto una analisi sulle proposte delle Regioni al Governo, per semplificare la fase di convivenza con il coronavirus. Sulla modifica della definizione di caso Covid si osserva che “dal momento che la maggior parte delle persone positive sono asintomatiche o paucisintomatiche, ma possono trasmettere il contagio, non è possibile, ai fini della sorveglianza dell’epidemia, modificare la definizione includendo solo chi, a fronte di un tampone positivo, è anche sintomatico. Peraltro, a fronte di una definizione di caso condivisa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’European Centre for Disease Control, non sarebbe giustificabile introdurre una modifica nazionale, anche ai fini della sorveglianza epidemiologica internazionale. La proposta di modifica non considerare come pazienti Covid i ricoverati per altra patologia a cui viene riscontrata una positività occasionale al Sars Cov 2 è inapplicabile e rischiosa per varie motivazioni” secondo Gimbe.

Covid “è una malattia multisistemica che colpisce numerosi organi e apparati e definire lo status di “asintomaticità” è molto complesso, specialmente nei pazienti anziani con patologie multiple; inoltre, la positività al Sasr Cov 2 può peggiorare la prognosi di pazienti ricoverati per altre motivazioni, anche in relazione all’evoluzione della patologia/condizione che ha motivato il ricovero e alle procedure diagnostico-terapeutiche attuate. La gestione di tutti i pazienti positivi, indipendentemente dalla presenza di sintomi correlati a Covid 19 richiede procedure e spazi dedicati, oltre alla sanificazione degli ambienti. Di conseguenza, risulta molto difficile riorganizzare in tempi brevi la gestione degli “asintomatici” senza risorse aggiuntive, in particolare locali e personale. La responsabilità di assegnare il paziente ricoverato ad una delle due categorie, con tutte le difficoltà e le discrezionalità del caso, è affidata al personale medico e alle aziende sanitarie.

Per quanto riguarda le scuole primarie, per Gimbe “appare ragionevole la proposta delle Regioni che chiedono che, in caso di una positività in classe, in attesa del tampone gli studenti rimangano presso il domicilio senza frequentare né la scuola, né le attività comunitarie. In caso di Dad, si suggerisce di valutare la possibilità di interrompere la quarantena per recarsi al centro vaccinale con mascherina FFP2 se al T0 si risulta negativi”. Sugli operatori sanitari la fondazione ricorda che “nei primi 18 giorni di gennaio 2022 si sono registrati 36.143 nuovi casi tra il personale sanitario, quasi il triplo rispetto all’intero mese di dicembre 2021 (n. 12.664). Per fronteggiare questo problema, le Regioni chiedono di mantenere in servizio nei reparti Covid gli operatori sanitari positivi asintomatici, una proposta inapplicabile per tre ragioni. Innanzitutto, medico-legali, perché è in netto contrasto con la legge Gelli-Bianco che dispone di garantire la sicurezza delle cure integrando tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie. In secondo luogo, per motivi organizzativi: gli operatori sanitari potrebbero lavorare nei reparti Covid, ma senza poter accedere agli spazi comuni (spogliatoi, mensa, etc.). Infine, per evidenti risvolti pratici, visto che rischia di determinare una fuga dai reparti Covid da parte del personale sanitario non colpito dall’infezione”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Pavia, cade in una botola al cimitero durante un funerale: 77enne morto. Aperta una inchiesta

next
Articolo Successivo

Grosseto, morto 36enne caricato da un cinghiale durante una battuta di caccia: recisa l’arteria femorale con le zanne

next