di Andrea Vivalda

Molti anni fa un mio mentore mi insegnò che spesso, quando non si trova soluzione ad un problema, il motivo è che si sta guardando il problema dal lato sbagliato: è esattamente quello che parrebbe stiano facendo i “grandi” della Terra nell’affrontare il problema energetico.

C’è chi parla di distese immense di pannelli fotovoltaici nei deserti, chi di infinite catene di pale eoliche sulle creste delle montagne, chi di maxi impianti per sfruttare l’energia delle maree, chi persino di nucleare. Le risorse di petrolio cominceranno a calare fra meno di vent’anni e i “grandi” cercano le soluzioni per mantenere inalterato l’attuale consumo di energia, anzi per aumentarlo in modo da poter continuare a spingere oltre i limiti la crescita economica, in un contesto in cui il driver di ogni ragionamento è il Pil.

Al contrario, non si considera affatto l’ipotesi che potremmo aver raggiunto il limite di energia consumabile che il nostro pianeta può darci senza estinguerci, o che forse lo abbiamo anche superato. Non si considera che se per assurdo sostituissimo l’energia prodotta oggi dai combustibili con un’immensa distesa di pannelli fotovoltaici nei deserti, essi assorbirebbero un’enorme quantità di energia solare invece che rifletterla come fa la sabbia, provocando uno sconvolgimento climatico dal potenziale apocalittico. Non si considera che se infinite catene di pale eoliche rallentassero i flussi delle masse d’aria si otterrebbe un effetto analogo sull’eco-sistema, così come lo si otterrebbe deviando o rallentando le maree per assorbirne energia, perché in fisica ad ogni azione corrisponde una reazione. Non si considera che se il fabbisogno venisse soddisfatto con l’attuale fissione nucleare, avremmo quintali di scorie da nascondere in centinaia di siti sparsi per il mondo, con la scritta sulla porta: “Inaccessibile per centomila anni”. Non si considera quanto siamo lontani dagli impianti a fusione nucleare per comprenderne rischi, effetti, economicità.

Ben venga, sia ben chiaro, ogni forma di energia pulita, ma prima di tutto dobbiamo tassativamente invertire la corsa consumistica ed imparare a consumarne di meno: va bene passare all’auto elettrica (sempre che non consumi elettricità prodotta col carbone), ma bisogna anche imparare a prendere l’auto solo quando serve veramente.

L’unica cosa che si considera è invece la cieca corsa a continuare a consumare sempre di più, alimentata dalla cultura del consumismo e da vent’anni di globalizzazione che hanno drammaticamente accelerato la vorticosa discesa verso la distruzione delle condizioni per la vita sulla Terra.

Le arance spagnole si vendono in Italia, quelle italiane in California, quelle californiane in Germania, in modo che le grandi società di trading possano massimizzare i guadagni: non importa se le navi cargo bruciano tonnellate di combustibile per consentirlo, perché ciò che conta è “far girare i soldi”. La parola d’ordine è “consumare”: gettare (magari nell’indifferenziata) il prodotto vecchio per acquistarne uno nuovo fiammante, convincere i cittadini che questo è il “profumo della vita”.

Nessuno (perché ai “grandi” non conviene) percepisce che l’unica vera, possibile, energia alternativa è risparmiare energia. E’ fare politiche di drastica riduzione dei consumi energetici, di riciclo dei prodotti, di consumo a kilometro zero, di smartworking (che dovrebbe essere ad esempio obbligatorio per ogni situazione in cui è possibile, siccome è assurdo spostare ogni giorno milioni di persone per fare in ufficio ciò che farebbero a casa). Sarebbe necessario guardare il problema dall’altro lato e concentrare ogni sforzo in un drastico cambiamento culturale sul consumo energetico invece che tentare ogni strada per consumare il più possibile.

Se l’unico driver del cambiamento rimarrà prioritariamente il Pil, i “grandi” della Terra potranno continuare ad arricchirsi, ma una successiva generazione di grandi della Terra nemmeno esisterà.

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