di Sara Gandini*, Maddalena Loy** e Daniele Novara***

Cosa sta succedendo nella scuola italiana dopo quasi due anni di pandemia? L’anno scolastico 2020-2021 è stato molto burrascoso, e a farne le spese sono stati soprattutto i ragazzi e le loro famiglie. Nonostante un protocollo molto restrittivo rispetto alle scuole europee, diverse regioni italiane hanno chiuso le scuole anche in assenza di situazioni epidemiologiche preoccupanti, in forma “precauzionale”, con ordinanze volte a “prevenire la diffusione del contagio”. Tali misure sono state impugnate da diversi comitati di genitori.

Grazie alle relazioni scientifiche redatte da alcuni scienziati, tra cui quelli del Comitato Scientifico e Giuridico Goccia a Goccia, sia i ricorsi al Tar che al Consiglio di Stato sono stati vinti. Diversi studi internazionali (a cominciare dal nostro, pubblicato su Lancet Regional Health il 26 marzo 2021) hanno mostrato sin da ottobre 2020 che la scuola è uno dei setting di contagio più sicuri. Le meta-analisi condotte su tutti gli studi pubblicati riguardo alle scuole hanno dimostrato che i giovani trovati positivi hanno il 74% in meno di probabilità rispetto agli adulti di favorire la diffusione virale, e che i minori sono il 40% significativamente meno suscettibili al contagio rispetto agli adulti.

Questi dati sarebbero dovuti bastare per tenere le scuole quasi sempre aperte, come è accaduto all’estero; le vaccinazioni degli insegnanti e di gran parte degli studenti dai 12 anni in su avrebbero dovuto ulteriormente agevolarne l’apertura. Eppure, a tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico, la situazione è preoccupante. La sottosegretaria al Ministero dell’istruzione Barbara Floridia ha reso noto che, a fine novembre, l’Italia aveva già messo in quarantena 7.019 classi di primarie, medie e superiori, per un totale di circa 143.870 alunni (cui si sommerebbero altre 1.076 classi delle materne). Questi valori sembrano però sottostimati, poiché l’Associazione Nazionale Presidi del Lazio dichiara di avere duemila classi in Dad soltanto in questa Regione.

Ed è notizia recente che i medici, per evitare la circolazione del virus, stanno facendo pressing per chiudere anticipatamente le scuole. Per quale motivo, a fronte di una situazione di gran lunga migliore rispetto all’anno scorso, oltre a tutti gli insegnanti e gran parte degli alunni vaccinati (proprio con l’illusione di poter affrontare un anno sereno e in presenza), l’Italia continua a ricorrere alla Dad? Perché si introducono misure come l’obbligo del green pass per gli studenti che devono andare a scuola, ledendo di fatto il diritto all’istruzione?

Noi abbiamo fatto un appello per ripensare a queste restrizioni ingiuste e insensate dal titolo No al Super Green Pass per i ragazzi sotto i 19 anni. Il nostro appello a Mario Draghi, a Sergio Mattarella, al Garante per l’infanzia e l’adolescenza denuncia la gravità di discriminare il 30% di ragazzi, escludendoli “dalla piena partecipazione alla vita culturale e artistica del paese” (in contraddizione all’articolo 31 della Convenzione Onu), ostacolando perfino il tragitto casa-scuola.

Inoltre, a fronte di un protocollo meno restrittivo a scuola ma comunque severo (ad esempio, quarantene dai sette ai dieci giorni laddove all’estero sono di massimo cinque-sette giorni), e la persistenza da parte dei dirigenti scolastici a interpretarlo comunque in maniera restrittiva (molte classi vanno in quarantena anche con un solo positivo o due in classe, quando il protocollo lo prevede con tre), a essere saltato sembra sia anche il tracciamento. Il governo ha infatti adottato, l’estate scorsa, la decisione di effettuare screening preventivi nelle scuole, che insieme con gli hub vaccinali riservati ai bambini e agli adolescenti sottrarrebbero tempo e risorse al tracciamento.

Che differenza c’è tra screening e tracciamento? Lo screening viene fatto sugli alunni sani, per “intercettare e prevenire” la diffusione del virus, e di solito raccoglie una percentuale molto bassa di positivi. In Italia sono state individuate diverse “scuole sentinella” dove gli studenti sani vengono testati a tappeto e regolarmente. Viceversa, il tracciamento viene fatto sugli studenti sintomatici e sui loro contatti stretti, in caso compaia in classe uno studente con sintomi. Accade che diverse Asl locali – impegnate anche nello screening – non siano in grado di tamponare tempestivamente l’intera classe per assicurarsi che non ci siano altri positivi rispetto al caso indice e dunque nell’attesa l’intera classe, “per precauzione”, venga messa in Dad.

Non solo: le meta-analisi che abbiamo condotto hanno confermato che la percentuale di positivi è sotto l’uno per cento e non ci sono evidenze che gli screening possano ridurre i cluster. Anzi, un importante studio pubblicato su The Lancet riguardo ai contagi nelle scuole ha mostrato che solo il due per cento dei contatti stretti di un positivo si contagia e che mettere in quarantena i contatti stretti, rispetto a tenerli in classe con i tamponi, non diminuisce i focolai.

Questa politica sanitaria finisce inoltre per andare ad alterare i dati nazionali: quasi il 20% dei tamponi effettuati in Italia è per screening su soggetti sani, in buona parte effettuati nelle scuole; e quando questi dati vengono pubblicati nei bollettini ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità, non hanno denominatore e non sono raffrontati a nessun altro setting di contagio (ad esempio casa, posti di lavoro, Rsa, ecc), facendo quindi risultare la scuola come un luogo in cui il virus circola di più, e non è vero. Infine, gli esiti degli screening non sono neanche resi pubblici, mentre da mesi abbiamo chiesto di conoscere quelli relativi a numero di tamponi fatti e numero di positivi per fascia di età e status vaccinale.

Inutile sottolineare che la Dad provoca ormai da due anni gravi problemi psicologici nei ragazzi, sono tanti gli studi scientifici internazionali che mandano questo allarme. Al fine di evitare l’uso e l’abuso della didattica a distanza, nonché una medicalizzazione sempre più marcata della scuola italiana, la strada intrapresa in diversi Paesi europei è quella del tracciamento e dei test dei soli casi sintomatici e il mantenimento della scuola in presenza, proprio per il principio di precauzione.

* epidemiologa/biostatistica coordinatrice della pagina scientifica “Goccia a Goccia”
** portavoce della rete Nazionale Scuola in Presenza
*** pedagogista

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