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Dismorfofobia, ecco cos’è la patologia di cui soffre Bianca Gascoigne: “Si parte da un timore per un difetto fisico a si arriva a un’ossessione o un delirio”

Chi ne soffre considera alcune parti del proprio corpo brutte, non attraenti, deformate, può anche vergognarsi del proprio aspetto a tal punto da evitare di uscire. Ne parliamo con la dottoressa Donatella De Lisi, psichiatra e psicoterapeuta, co-autrice del libro “Dismorfofobia. Quando vedersi brutti è patologia” (Ediz. L’Asino d’oro)

di Ennio Battista

Bianca Gascoigne ha dichiarato durante la trasmissione Ballando con le Stelle – in programma su Raiuno – di soffrire di dismorfofobia, un disturbo che concentra la persona su un presunto difetto di una parte specifica del corpo. Gascoigne ha dichiarato che, nonostante le persone le dicono di essere bella e sexy, “io non mi vedo così. Mi vedo brutta”. Nel dismorfismo corporeo, infatti, la persona può trascorrere molte ore al giorno preoccupandosi delle imperfezioni percepite nel proprio corpo, sebbene questi problemi appaiano minori o siano impercettibili agli altri. Chi ne soffre considera alcune parti del proprio corpo brutte, non attraenti, deformate, può anche vergognarsi del proprio aspetto a tal punto da evitare di uscire. Ne parliamo con la dottoressa Donatella De Lisi, psichiatra e psicoterapeuta, co-autrice del libro “Dismorfofobia. Quando vedersi brutti è patologia” (Ediz. L’Asino d’oro).

Dottoressa De Lisi, prima di tutto un chiarimento: la dismorfofobia è una patologia o un sintomo di qualcosa di più complesso?
“Bisogna fare una premessa. Secondo un pensiero culturale dominante, la malattia psichica è considerata solo come un’alterazione funzionale ed ereditaria (quindi già presente alla nascita) della sostanza cerebrale. Secondo questo approccio non si può parlare di cura per le malattie mentali. Nel mio orientamento scientifico invece (la ‘Teoria della Nascita’ dello psichiatra Massimo Fagioli), la malattia mentale è considerata come una patologia del pensiero che non è assolutamente presente alla nascita, e che per questo motivo può essere curata ristabilendo uno stato di salute. La dismorfofobia è quindi un sintomo che, a seconda dell’alterazione psicopatologica sottostante, può presentare diverse forme e manifestazioni. Si comincia da una semplice preoccupazione per un difetto fisico (spesso inesistente) per poi trasformarsi in una vera e propria ossessione. E sfociare a volte anche in un delirio. L’alterazione patologica riguarda la realtà interna della persona colpita, anche se la manifestazione sintomatologica si riversa sul corpo”.

Quali sono i fattori che la provocano?
“L’origine va ricercata nella realtà non cosciente del paziente, oltre che nella storia personale e nei rapporti umani vissuti, con particolare attenzione ai primi anni di vita. In questa fase ci sono tappe fondamentali nello sviluppo psichico del bambino che possono avere un ruolo importante nell’insorgenza di questi sintomi, che si verranno a manifestare maggiormente durante il periodo adolescenziale”.

Può descrivere questi sintomi?
“Possono essere diversi, caratterizzando diversi quadri psicopatologici che variano di intensità e gravità. Si possono avere forti stati d’ansia, angoscia profonda, quadri depressivi fino a situazioni molto più gravi con l’instaurarsi di vere e proprie forme deliranti. Spesso questi pazienti passano ore della giornata a controllare le loro deformità presunte di fronte a uno specchio o con ripetuti selfie dal cellulare, per tentare di soffocare quell’ansia profonda. Altri, invece, evitano in modo sistematico di ritrovarsi di fronte a qualche superficie riflettente. In casi più gravi, queste persone, per sfuggire al malessere che queste parti del corpo per loro deformi creano, possono provocarsi mutilazioni, autolesioni fino ad arrivare purtroppo anche al suicidio. Tra questi soggetti, alcuni si rivolgono in modo sistematico al chirurgo plastico, come se la soluzione al loro malessere possa essere risolta solo attraverso un intervento chirurgico che altera e modifica il proprio corpo con l’obiettivo di far sparire la loro deformità e con lei anche il proprio malessere”.

E ci riescono?
“No, perché dopo il primo intervento spesso ci sarà il secondo, poi il terzo, e così via… Senza che il malessere sia scomparso o tantomeno si sia alleviato. È chiaro che in questo modo solo in seconda o terza battuta, e quindi dopo anni dall’esordio di questa sintomatologia, questi pazienti si rivolgeranno allo psichiatra il quale si troverà ad affrontare una condizione psicopatologica ben strutturata e molto grave”.

Quali sono le parti del corpo più soggette a questa sintomatologia?
Gli arti inferiori, il volto e i genitali. Come se il paziente attraverso la localizzazione della sua ossessione per una deformità, ci comunicasse qualcosa di importante sulla dinamica inconscia sottostante rispetto al momento in cui ci può essere stata una lesione alla realtà interna; fatto che può essere utile a noi psichiatri per comprendere la fase di sviluppo psichico in cui possono esserci stati dei problemi”.

La tendenza ormai diffusissima di ritoccare le proprie foto, con filtri vari, specie su Instagram, è il segnale di una profonda insicurezza? Se sì, da cosa è favorita in particolare?
“Non credo sia utile ai fini medici e terapeutici colpevolizzare i social, perché come abbiamo visto le cause dell’insorgenza di certi sintomi sono da ricercare altrove. È dunque una semplificazione che poco ci dice della realtà non cosciente delle persone”.

All’inizio lei ha dichiarato che la dismorfofobia si può curare. Con quali interventi?
“Visto che siamo di fronte a un sintomo, sarà necessario intervenire e risolvere la malattia sottostante, ponendo attenzione alla diagnosi differenziale, utile a comprendere quale trattamento terapeutico utilizzare di volta in volta. In qualche caso può essere utile ricorrere ai farmaci o al ricovero ospedaliero. Il principio di base è che per guarire una persona affetta da sintomi dismorfofobici bisogna intraprendere un percorso di psicoterapia che si occupi del non cosciente”.

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