Tra le indiscrezioni sull’inchiesta della Procura di Firenze relativa alla campagna di comunicazione di Matteo Renzi c’è un elemento che mi ha colpito particolarmente, tra tutti gli scambi di mail trapelati, e che secondo me riguarda il M5S e il suo destino. Ovvero la mail inoltrata da Renzi a Carrai, avente per oggetto “Antigrillo” (a proposito, grazie per avermi inserito tra i “Character assassination”!), in cui Fabrizio Rondolino, ex Pci, preconizza che dopo il MoVimento per gli elettori dei 5 stelle c’è soltanto l’astensione e non invece il ritorno all’ovile del Pd. Per questo Rondolino scrive: “Non dobbiamo perdere tempo a riconquistare l’elettorato: dobbiamo spingerlo a non votare più”.

Quando l’ho letto è stato agghiacciante. Non solo per l’abominio antidemocratico di una fredda strategia politico-comunicativa fondata sull’astensionismo invece che sulla conquista della fiducia dell’elettorato, quanto per il fatto che ho dovuto riconoscere di essere d’accordo con una parte di quella riflessione sul M5S. Un disarmante déjà vu. Sì, perché sono anni che sostengo che chi all’epoca del Governo Renzi ha votato il M5S ha fatto una scelta all’insegna dell’alterità rispetto alle forze politiche tradizionali fino ad allora conosciute. Chi ci ha votato lo ha fatto scegliendo qualcosa di diverso dal Pd renziano e da tutti gli altri partiti, ovvero abbracciando una nuova visione di società, fondata sui temi della tutela delle legalità, la lotta ai privilegi, giustizia sociale, la salvaguardia dei Beni Comuni e dell’ambiente, con un focus sulle energie rinnovabili, l’innovazione tecnologica al servizio dei cittadini, anche per promuovere nuove forme partecipate dei processi decisionali, in un’ottica di democrazia diretta e trasparenza delle informazioni.

Dobbiamo tornare a tutto questo, ai nostri temi identitari, a quella visione di una nuova Italia che abbiamo promesso a noi stessi e a chi ha creduto nel M5S e in quel progetto di Paese, fondamentale soprattutto adesso, in una società la cui tenuta è messa a dura prova dalla pandemia. In che termini possiamo tornare ai nostri temi identitari? Con i fatti. Ad esempio per quanto riguarda le politiche energetiche nazionali, evitando di strizzare l’occhio al nucleare o dirottando i fondi pubblici degli incentivi ambientalmente dannosi verso le rinnovabili, via maestra per la decarbonizzazione del Paese. In Regione Lazio su questo tema abbiamo dato un segnale politico chiaro, ad esempio approvando lo stop a nuovi impianti basati su fonti fossili sul nostro territorio, oppure quintuplicando la quota di eolico nel nuovo Piano Energetico Regionale, grazie al progetto del Parco eolico offshore di Civitavecchia, il primo galleggiante d’Italia, e il finanziamento con due milioni di euro delle Comunità Energetiche Rinnovabili.

Sopra ad ogni cosa, c’è un altro elemento identitario su cui dobbiamo concentrarci: il Reddito di Cittadinanza e la sua (mancata) evoluzione nei recenti provvedimenti. Da sempre cavallo di battaglia del M5S, sposato poi anche dal centrosinistra nella formula del Reddito Universale, il Reddito di Cittadinanza oggi è la cartina di tornasole non solo del rischio di un traguardo mancato ma anche dell’inconsistenza delle critiche pretestuose di tutti i suoi detrattori. In maniera trasversale, tutte le forze politiche lo hanno sempre attaccato per il fatto che la fase delle politiche attive era debole e andava rafforzata. Un punto su cui molti di noi, io per prima e anche lo stesso Giuseppe Conte, abbiamo convenuto ammettendo la necessità di un’evoluzione in tal senso. In questo periodo il Reddito di Cittadinanza è oggetto di modifiche nell’ambito dell’esame della legge di Bilancio: non un soldo in più, non una misura in più sono stati previsti per rafforzare le tanto osannate, e sacrosante, politiche attive. Dove sono finiti “i volenterosi”, “i migliori”, o come dir si voglia, che fremevano per migliorare questo strumento? Ecco, la partita sul Reddito di Cittadinanza è un banco di prova che dimostrerà quanto il M5S è disamorato, o ancora innamorato, di se stesso e di che natura fossero, se costruttive o pretestuose, le osservazioni fatte da più parti per la sua evoluzione.

Dicevamo: “Dopo il M5S c’è l’astensionismo, non il ritorno all’ovile del Pd”. È quello che, in tempi non sospetti, ho sempre sostenuto e che oggi ribadisco proprio alla luce dell’alleanza di Governo con il Pd, a livello nazionale, in Regione Lazio e in alcuni Comuni. Tornare ai temi identitari è infatti la chiave non solo per riconquistare la fiducia dei nostri elettori ma anche per strutturare l’alleanza con il Pd in termini di pari dignità, e non di “vassallaggio”, con l’obiettivo di affermare proprio quei temi identitari all’interno dell’accordo programmatico nel rispetto del patto con chi ci ha scelto per il nostro progetto. Così come abbiamo fatto all’inizio con il Reddito di Cittadinanza, sebbene sia ancora un percorso in salita, con il taglio dei costi della politica, o con misure concrete come il Superbonus 110% – operazione questa meglio riuscita – per incentivare l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza dei nostri edifici.

Solo così, con un provvedimento concreto dopo l’altro, passo dopo passo, possiamo evitare che l’astensionismo fagociti non solo il M5S ma la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese.

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