Starnazza ferocemente, per ora solo in rete, quella parte livida e reazionaria di opinione pubblica pronta a dichiarare guerra a Giorgio D’Incà, padre di Samantha, intrappolata da 11 mesi in uno stato vegetativo a causa delle complicanze seguite ad un operazione. La sua colpa? Da poco nominato amministratore di sostegno della figlia dal tribunale di Belluno è intenzionato a ‘dare pace a Samantha’.

Dietro le sue parole, sofferte come nessuno può immaginare, cresce il clangore della grida indignate di quell’umanità bigotta, feroce ed ottusa, nostalgica di un tempo confessionale durante il quale poté, grazie ad un governo complice, intrupparsi nell’esercito incaricatosi di eseguire la fatwa emanata nei confronti di un altro padre, quel Beppino Englaro che mostrò quanto l’amore paterno possa masticare l’amaro compito di sfidare la legge per dare pace ad una figlia che non si sarebbe mai più risvegliata. La sua azione coraggiosa e pervicace costrinse il legislatore a prendere atto di una realtà mutata, costringendo una parte benpensante della società a fare i conti con un evidenza da tanti volutamente ignorata: non tutte le vite sono degne di essere vissute. Englaro dovette combattere per 11 anni, evidenziando tutte le contraddizioni di un sistema politico che cercò di fermarlo.

Dopo che la Corte d’Appello di Milano il 9 luglio 2008 accolse il suo ricorso e lo autorizzò ad interrompere l’alimentazione artificiale della figlia, fu oggetto di una persecuzione: la procura di Milano fece ricorso contro la decisione della Corte d’Appello, il governo emanò un “atto di indirizzo” con il quale veniva vietato di interrompere l’alimentazione artificiale a tutte le strutture del servizio sanitario nazionale, cercando infine di bloccarne l’azione con un decreto legge, poi tramutato in disegno di legge.

I benpensanti affermano oggi che ‘Samantha non ha mai redatto il cosiddetto “testamento biologico”, l’unica via legale pensata proprio per permettere ai cittadini di dettare le proprie volontà nel caso in futuro si trovassero nell’impossibilità di esprimersi’ . Vero. Ma questo basta a condannarla ad essere imprigionata sine die dentro ad un corpo ormai divenuto gabbia senza alcuna possibilità di risveglio? Mi permetto di far notare a chi usa questa argomentazione che fare il padre è un tempo breve e difficile, nel corso del quale la vita chiama a decisioni talvolta di durezza estrema. Molti di questi soloni lascerebbero dunque Samantha in uno stato di immobilità e, forse, sofferenza fisica, perché i loro genitori non trovarono il tempo di mettersi al tavolo con la figlia per chiederle “allora, in casi ti capitasse un incidente, cosa vorresti che noi facessimo?” Sì, non lo hanno fatto. Come migliaia e migliaia di altri padri e madri. Colpa? Lacuna? Forse.

Ma trovo insopportabile la sicumera di tanti, troppi, detentori di un sapere i quali hanno già sentenziato la condanna della ragazza ad una immobilità sine die, ignorando cinicamante il dolore, lo strazio, la consunzione di un padre e di una madre alle prese con la decisione più dura della loro vita.

Su un periodico di stampo confessionale trovo scritto che: “papà Giorgio avrebbe specificato che Samantha, quando era ancora in salute, nel commentare la vicenda di Eluana e Dj Fabo, avrebbe dichiarato che non avrebbe mai voluto vivere così. Ma come ben sappiamo, nella vita si può benissimo cambiare idea, perché spesso quando certe cose ci toccano da vicino, può subentrare uno spirito di sopravvivenza e un attaccamento alla vita che nemmeno credevamo di avere”. Sì, vero. Peccato che questa ragazza non potrà mai più essere in grado di dirci se in cuor suo l’idea l’abbia cambiata. Chi siamo noi per infliggerle un tempo infinito di degradamento fisico in attesa che recuperi miracolosamante la favella?

I più fanatici di essi dicono: “Dio lo vuole?”. Ma quale Dio? Il loro.

Non appartengo a quel pezzo d’Italia che osanna Papa Francesco come chi incarna quel ‘nuovo’ che potrà scardinare i rigidi vincoli che la Chiesa osserva in tema di aborto, suicido assistito, testamento biologico. Mi attengo ai fatti e ne constato l’immobilità. Per questo spero che stavolta, coloro i quali sono pronti a chiamare in causa l’onnipotente, se ne stiano zitti. Che non lancino i loro strali, i loro anatemi. Vorrei che chi ha il prezioso dono della fede lo eserciti mettendosi da parte, immaginando per una volta un Dio che non ha in mente progetti sadici quali il mantenimento di una donna sfortunata in uno stato di sofferenza protratto ad aeternum.

Vorrei che la politica, ma non ci scommetto, facesse quello scatto laico e si sintonizzasse con i bisogni e i dolori di questi genitori, prestando l’orecchio alle grida di tutti coloro i quali hanno deciso, per malattia, sofferenza, irrecuperabilità di uno stato psicofisico degno, che può bastare così.

Alla signora Genzianella, madre di Samantha, hanno posto la domanda: “Lei crede in Dio?”. “Non più”, è stata la sua risposta. Molti tra quelli che vanno ora brandendo virtualmente le loro croci mediatiche, pronti a scendere in campo a difesa della vita ad ogni costo, anche quando ormai soltanto organica, non hanno mai incontrato l’aspra necessità di interpellare un giudice per decidere della vita dei loro cari. La maggioranza di essi ha figli sani, che corrono e saltellano per casa. La signora Genzianella ha cresciuto una ragazza con amore, passione e dedizione. Ed ora lei e il marito devono prendere la decisione di terminarne l’esistenza biologica.

Per questo, cari crociati, è a loro e solo a loro che tale domanda va posta, non a voi, corifeo di fanatici in salute col sedere al caldo, politici in cerca di visibilità, benpensanti che non hanno né la voglia né la forza di dare uno sguardo all’abisso del dolore altrui. Dunque signori, silenzio. Non gettiamo alle ortiche la fatica di Englaro e quella di tanti altri genitori. Non ripetiamo gli errori del passato.

In quel tempo il legislatore preferì ignorare la realtà abbracciando una deriva confessionale subordinando il suo mandato all’interpretazione della parole di un Dio che appariva non già il Dio della Misericordia, quanto una divinità Maya, le cui volontà prefiguravano la sofferenza sine die per uomini che mai avrebbero conosciuto la guarigione. I genitori di Samantha, come Englaro e tanti, tanti altri ancora, hanno scelto di non sentirsi Dio, ma di incarnare sino in fondo quel ruolo paterno e materno che non ha scelto di generare una vita per poi infliggerle sofferenza. Dio è una cosa troppo seria per lasciarlo in mano ai fanatici.

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