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Vaccini, a Genova respinto il primo ricorso di un sanitario: “L’obbligo protegge dal rischio ambientale, vale anche per chi non è in corsia”

Il caso riguarda una lavoratrice tecnica di laboratorio biomedico in un policlinico del capoluogo ligure, che chiedeva di essere reintegrata nel servizio, anche con mansioni inferiori, per conservare lo stipendio. Il giudice ha ritenuto che l'obbligo per i sanitari valga non solo "quando siano addetti a prestazioni di cura e assistenza", ma anche in tutti gli altri casi, in quanto "collegato ad un più ampio pericolo di diffusione del contagio nell’ambiente sanitario"
Vaccini, a Genova respinto il primo ricorso di un sanitario: “L’obbligo protegge dal rischio ambientale, vale anche per chi non è in corsia”
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Il giudice del lavoro di Genova ha respinto con procedura d’urgenza il primo tra più ricorsi di sanitari sospesi dal servizio e dalla retribuzione perché hanno rifiutato di vaccinarsi. Il caso riguarda una lavoratrice tecnica di laboratorio biomedico in un policlinico del capoluogo ligure, sospesa lo scorso 21 luglio fino – al massimo – al prossimo 31 dicembre, che chiedeva di essere reintegrata nel servizio, anche con mansioni inferiori, per conservare lo stipendio. Il giudice – si legge nel comunicato stampa firmato dal presidente del Tribunale Enrico Ravera – doveva accertare innanzitutto se l’obbligo vaccinale per i sanitari esista “solo quando siano addetti a prestazioni di cura e assistenza. Con una valutazione tecnico-giuridica”, invece, è stato ritenuto “che l’obbligo sia collegato ad un più ampio pericolo di diffusione del contagio nell’ambiente sanitario: si tratta insomma di una norma di prevenzione di un rischio ambientale, indipendentemente dal numero e dall’intensità dei contatti interpersonali”.

Peraltro, l’istruttoria ha “accertato che l’incarico di tecnico di laboratorio della lavoratrice implicava prestazioni non isolate, ma, al contrario, calate nel contesto ospedaliero, che comportano relazioni interpersonali molteplici con colleghi; adottare provvedimenti per separare l’attività della ricorrente da quel contesto”, spiegano i giudici, “avrebbe creato seri problemi all’organizzazione dell’ente”. Il Tribunale ha inoltre valutato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla lavoratrice, “non sia addebitabile all’ospedale un’inerzia nella mancata riorganizzazione finalizzata a trovarle un’occupazione alternativa“; il policlinico, infatti, era già in difficoltà in questo senso per “la necessità di ricollocare il personale esentato dall’obbligo vaccinale e quello in condizione comunque di fragilità. Ciò malgrado – si legge – esso ha cercato delle soluzioni alternative anche per la ricorrente, trovando però la disponibilità solo di posizioni ritenute professionalmente troppo distanti dalla sua specializzazione di tecnico di laboratorio”.

Infine, l’ordinanza ha dovuto motivare sulla presunta “irragionevolezza” del fatto che ai sanitari non vaccinati venga sospesa del tutto la retribuzione, “rispetto alla posizione di chi, sottoposto a procedimento penale, la conserva in parte. Il giudice – spiega il presidente del Tribunale – ha valutato non ingiustificata tale disparità, tenuto conto che per il sanitario la sospensione è determinata sia nel presupposto che nella durata, mentre per il lavoratore indagato l’uno e l’altra sono incerti”. Per un secondo caso preso in esame, invece, il Tribunale si è dichiarato incompetente sul ricorso della lavoratrice – un’infermiera sospesa dall’albo – perché la competenza spetta alla Commissione centrale esercenti le professioni sanitarie. “Le due prime decisioni non rappresentano precedenti decisivi per la sorte delle ulteriori controversie” in materia di obbligo vaccinale, precisa il comunicato, perché il loro esito sarà “condizionato dalle valutazioni giuridiche compiute dal singolo giudice sulle questioni in diritto e da ciò che le parti riusciranno a provare in ordine alle questione di fatto”.

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