Il 7 ottobre 2001 ha inizio la guerra degli Stati Uniti e della coalizione internazionale contro l’Afghanistan, in risposta agli attentati dell’11 settembre. I bombardamenti del tardo pomeriggio colpiscono sia le grandi città che le località minori. L’88% degli statunitensi approva la decisione del presidente George W. Bush. L’attacco all’Afghanistan era stato pianificato già alcuni giorni dopo l’11 settembre. Un obiettivo errato da due punti di vista.

Il primo: nessun afghano figura tra i 19 attentatori suicidi che hanno dirottato i 4 aerei di linea, né risale a questo Paese l’ideazione e il finanziamento dell’attacco. Anzi, la forte componente saudita dei dirottatori (15 su 19) avrebbe potuto autorizzare ad altre conclusioni, ma l’Arabia Saudita è un prezioso alleato degli Stati Uniti. Ai talebani viene imputato di non avere consegnato agli Stati Uniti Osama Bin Laden e di ospitare nel proprio territorio la rete gruppuscolare di Al Qã’ida, presente con campi di addestramento, certamente non una organizzazione di massa. Lo Stato afghano dei talebani ha una debole struttura centrale, un’organizzazione clanica nei villaggi e uno scarso controllo su aree abitate da etnie diverse.

Secondo punto: Al Qã’ida è una sorta di federazione internazionale terroristica, senza sede, i cui legami fra le varie unità sono molto laschi. Gli Stati Uniti ammettono che la guerra al terrorismo è sganciata da una stretta dimensione di territorialità, ma forniscono una risposta militare vecchia, come se si trattasse di un conflitto tradizionale. Washington crea un’intelligence alternativa alla Cia, l’Ufficio dei piani speciali (Osp), con il compito (fallito) di trovare le prove del legame tra terroristi e Stati nazionali.

Un passaggio efficace si è invece avuto con l’eliminazione di Osama Bin Laden, a maggio del 2011 per mano dei Navy Seals, un corpo speciale addestrato per situazioni di conflitto non convenzionale. Bin Laden risiedeva in Pakistan in un visibile complesso ad Abbottabad, vicino alla più importante accademia militare del Paese. Bin Laden era stato localizzato almeno otto mesi prima. Nessuno nell’amministrazione statunitense si era sognato di chiedere al Pakistan di consegnare il suo ospite o di preventivare azioni di ritorsione in caso di diniego.

Con la morte di Bin Laden non termina la guerra in Afghanistan perché gli Stati Uniti vorrebbero controllare questo territorio strategico tra Iran e Pakistan. Le parole apparse sui quotidiani l’indomani dell’attacco all’Afghanistan risentono del trascinamento emotivo suscitato dall’attentato dell’11 settembre. Scriveva Franco Venturini nel suo editoriale del Corriere della Sera l’8 ottobre: “L’America non poteva rinunciare a una guerra già dichiarata senza perdere la sua credibilità. Il mondo civile non poteva, e non può oggi, proclamarsi neutrale senza diventare complice delle barbarie”. Quasi un abboccamento alla spirale del conflitto che Bin Laden ribadiva in quei giorni, con i suoi videomessaggi trasmessi da Al Jazeera che incitavano i musulmani di tutto il mondo alla guerra santa contro l’Occidente.

Tra gli esiti della guerra, sul campo sono rimaste – stando alle stime più riduttive – 170.000 vittime civili. Va però considerata la difficoltà di effettuare conteggi nelle aree periferiche con molte uccisioni non registrate. La vita dei non combattenti è caratterizzata dalla probabilità di venire feriti e non essere curati, dall’abbandono delle proprie case, da lunghe marce per trovare rifugio. Soltanto nei primi sette mesi del 2021 l’Onu calcola che ci siano stati 360.000 sfollati. Accanto alle vittime innocenti ci sono gli orrori che accompagnano ogni conflitto: i massacri (Dasht-e Leili), gli stupri, le torture sui prigionieri compiute da entrambe le parti.

Dopo la fine della guerra fredda, quasi tutti i conflitti con la presenza di forze internazionali sono stati ammantati da ragioni “nobili”. Invadendo l’Afghanistan si sarebbe dovuto sconfiggere il terrorismo internazionale (ma ciò non è accaduto) e portare la democrazia, non fosse che l’amministrazione del Paese è stata caratterizzata da censura, repressione del dissenso, abusi sugli arrestati e un indice di corruzione tra i più alti del pianeta. Scarsi sono stati i risultati nella lotta all’analfabetismo (sceso dal 68% del 2001 al 62% nel 2017) mentre la mortalità infantile è rimasta tra le più alte al mondo (113 decessi su mille nati).

Nella guerra in Afghanistan gli Stati Uniti non hanno mai avuto il controllo della situazione, pur insediando un governo amico. Già nel 2017 i rapporti indicavano “poco realistica” la sconfitta militare dei talebani e uno dei motivi l’ha spiegato il generale Stanley McChrystal: “I bombardamenti aerei creano più nemici di quelli che eliminano”.

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