Sarebbe un primo passo per far pagare di più i ricchi. Metter mano ai valori catastali per aggiornarli, infatti, significa aumentare le tasse sugli immobili di pregio che negli anni si sono più rivalutati ma continuano a fruttare (ingiustamente) poco al fisco. Risultato: è bastata l’ipotesi che il governo inserisca un intervento sul catasto nella legge delega di riforma fiscale attesa in cdm nei prossimi giorni – in ritardo sulla tabella di marcia indicata nel Recovery plan – per far salire sulle barricate Lega e Forza Italia. La cui opposizione quest’estate ha bloccato il tentativo di inserire il tema nel documento approvato dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato, che è la base da cui è partito il lavoro del Tesoro. E’ stato proprio il Mef, però, a rilanciare sulla necessità di adeguare il valore degli immobili a quello di mercato mettendo nero su bianco nell’atto di indirizzo alle amministrazioni fiscali per il triennio 2021-2023 l’obiettivo di aggiornare gli archivi “anche nell’ottica di una più equa imposizione fiscale“. Perché, come da anni sottolineano Ocse e Commissione europea, i proventi aggiuntivi potrebbero essere utilizzati per ridurre le tasse sul lavoro.

Le indicazioni del Tesoro alle agenzie fiscali e alla Guardia di finanza sono ovviamente di natura tecnica. Ora però, stando a indiscrezioni, il governo intende fare un passo ulteriore: procedere alla riforma che nessun esecutivo politico ha avuto il coraggio di fare nel timore di ripercussioni elettorali. Tra le ipotesi c’è quella di passare dai vani ai metri quadri come unità di misura delle valutazioni catastali: il metodo già previsto dalla delega del 2012 che Matteo Renzi fece scadere buttando a mare due anni di lavori preparatori, come lamentò l’allora direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi. Andrebbe poi introdotto un parametro che leghi il reddito teorico derivabile dall’immobile (il canone che si può ottenere dandolo in affitto) al valore di mercato. In modo da inquadrare in maniera più realistica le case di pregio nei centri storici, che essendo meno recenti hanno valori catastali inopinatamente bassi.
Un intervento sul mattone – che continuerebbe ovviamente a far salve le prime case – avrebbe diversi vantaggi in termini di equità, perché consentirebbe di spostare gli equilibri dell’imposizione fiscale alleggerendo quella sul lavoro. Visto che l’obiettivo della riforma in arrivo è diminuire l’ampiezza del cuneo fiscale avviando almeno la riduzione della terza aliquota Irpef (38% sui redditi da 28.001 a 55.000 euro), da qui potrebbe arrivare una dote aggiuntiva rispetto ai 2-3 miliardi messi sul piatto dal Mef. Questa del resto è la strada consigliata a più riprese dalla Ue, che nelle raccomandazioni Paese per il 2019 scriveva per esempio: “Il sistema tributario italiano continua a gravare pesantemente sui fattori di produzione, a scapito della crescita economica. (…) Dato che le basi imponibili meno penalizzanti per la crescita, come il patrimonio e i consumi, sono sottoutilizzate, vi sono margini per alleggerire il carico fiscale sul lavoro e sul capitale senza gravare sul bilancio dello Stato. L’imposta patrimoniale ricorrente sulla prima casa è stata abrogata nel 2015, anche per i nuclei familiari più abbienti. Inoltre i valori catastali dei terreni e dei beni, che costituiscono la base per il calcolo dell’imposta sui beni immobili, sono in gran parte non aggiornati ed è ancora in itinere la riforma tesa ad allinearli ai valori di mercato correnti”.
I tempi saranno comunque lunghi: la legge delega dovrà poi passare all’esame del Parlamento ed essere tradotta in pratica con decreti legislativi sui vari aspetti della riforma, dalla probabile fusione Ires-Irap alla (anch’essa sempre rinviata) razionalizzazione degli sconti fiscali. Cioè deduzioni, detrazioni e regimi opzionali, alcuni sacrosanti ma altri riservati a intoccabili lobby come quella degli autotrasportatori, che costano alle casse pubbliche la bellezza di 75 miliardi l’anno. E il percorso si preannuncia non facile vista la strenua resistenza del centrodestra rispetto all’ipotesi di alzare l’imposizione sui patrimoni di qualsiasi natura. Idiosincrasia plasticamente rappresentata nella relazione delle commissioni parlamentari, in cui mai compare la parola “patrimoniale” e non viene nemmeno citata la proposta del segretario Pd Enrico Letta di aumentare la tassa di successione sui patrimoni oltre i 5 milioni di euro. I presidenti delle Commissioni Luigi Marattin (Iv) e Luciano D’Alfonso (Pd) avevano proposto di fare almeno un accenno alla “opportunità di inserire nella prossima legge delega un riordino complessivo dei valori catastali”, ma l’emendamento non è passato. Non a caso il deputato leghista Claudio Borghi, su Twitter, fa sapere che “se davvero il governo dovesse inserire in delega fiscale la questione catasto, esclusa dal Parlamento grazie alla Lega e al cdx dopo lunghe discussioni, forse qualcuno potrebbe sentirsi lievemente preso in giro”. E il deputato di Fi Sestino Giacomoni chiede a gran voce che “si rispetti la volontà del Parlamento”.
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