I soldi per attenuare l’impatto per famiglie e imprese dei super rincari delle bollette energetiche (+ 20% nello scorso trimestre e + 40% le previsioni per il prossimo) dovuti soprattutto ai rincari del gas, ci sono. A palazzo Chigi basterebbe allungare la mano e prendere quello che tutto sommato in fondo è già suo e quindi nostro. Come spiega il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli i big dell’energia stanno infatti accumulando giganteschi profitti grazie alle dighe in concessione presenti soprattutto nel Nord del paese. L’idroelettrico copre circa la metà della produzione energetica italiana da rinnovabili. Ma le grandi dighe alpine sono impianti ormai completamente ammortizzati. In sostanza è energia prodotta quasi a costo zero, circa 10 euro per megawatt/ora, e poi venduta sul mercato ai prezzi correnti che nei momenti di picco arrivano a 150 euro. Con queste quotazioni gestori di questi impianti come Enel (in cui lo Stato è azionista di maggioranza relativa con il 23,5%, ndr), A2A (di cui comune di Milano e di Brescia posseggono il 25% a testa, ndr) ed Edison (controllata dalla francese Edf, ndr), ottengono extra profitti quantificabili in circa 4 miliardi di euro l’anno. Qui si potrebbe attingere per limitare l’impatto dei rincari su cittadini e imprese, non dimentichiamo che queste strutture vengono assegnate in concessione e quindi lo Stato ha margini per intervenire. Non a caso nella stessa direzione si sta muovendo anche la Spagna, a sua volta alle prese con fortissimi rincari.

Ma a cosa è dovuta questa impennata dei prezzi del gas e quindi dell’energia?

Ci sono più fattori che stanno spingendo i prezzi, alcuni del tutto transitori altri un po’ meno. In questi giorni c’è ad esempio un problema agli impianti eolici della Gran Bretagna (dove il prezzo del Mw/h ha superato i 300 euro, ndr). In sostanza sul mare che circonda il Regno Unito soffia meno vento del solito e quindi Londra deve accrescere l’uso di altre fonti. Del resto uno dei principali problemi delle rinnovabili è la loro intermittenza che si traduce sul mercato in forti oscillazioni del prezzo dell’elettricità. Più in generale siamo alle prese con una penuria di gas disponibile rispetto alla domanda. Il livello delle scorte è basso a causa di un inverno trascorso che è stato insolitamente lungo. C’è poi una fortissima richiesta di gas che proviene dall’Asia dove, praticamente, si dirige oggi tutto il gas liquido. In parte a causa della ripresa in parte perché durante la pandemia alcune centrali a carbone (il più inquinante dei combustibili fossili, ndr) sono state spente, anche Cina o India stanno cercando di privilegiare fonti meno impattanti in termini di Co2.

E il prezzo dell’energia sul mercato è stabilito dalla fonte con il costo di generazione più alto…

Tecnicamente è più corretto dire che il prezzo è determinato dalla fonte marginale ma il concetto è più o meno lo stesso.

Siamo destinati a convivere con questi prezzi di gas ed elettricità? Oppure possiamo sperare in un graduale assestamento su valori più accettabili?

Le pressioni sui prezzi dovrebbero almeno in parte attenuarsi nei prossimi mesi, man mano che le scorte verranno ricostituite e l’offerta di adeguerà alla domanda. Fatti salvi fattori imprevedibili come rigidità e durata dell’inverno mi attendo un dimezzamento del costo dell’energia in tempi relativamente brevi.

In molti puntano il dito contro i costi della transizione verde e in particolare sui costi dei diritti di emissione di Co2. L’anno scorso sono stati scambiati sul mercato 10,7 miliardi di tonnellate di Co2 che hanno raggiunto un valore di 60 euro l’una, il più alto di sempre. Se i prezzi dei diritti di emissione rimarranno su questi livelli lo Stato incasserà oltre 2 miliardi di euro all’anno. I produttori di energia però scaricano i costi sulle bollette. Quanto c’entrano questi diritti sulle stangate in bolletta?

In realtà poco. Non ritengo che gli oneri sulla Co2 abbiano o abbiano avuto un ruolo significativo nei rincari a cui stiamo assistendo in questi mesi. In ogni caso si tratta di voci incidono per un quinto sul prezzo finale dell’elettricità, i fattori di cui parlavo prima incidono molto di più.

Torniamo al gas. L’Unione europea si è impegnata a diventare climaticamente neutra, concetto leggermente diverso dall’azzeramento delle emissioni visto che in parte possono essere riassorbite, entro il 2050. Eppure ad oggi di gas, che è un combustibile fossile, se ne consuma ancora tanto. Il 37% dell’energia prodotta in Italia viene dal gas. La Germania sta per mettere in funzione il gasdotto North Stream 2 che proviene dalla Russia con l’ambizione di proporsi come hub europeo del gas. E noi?

La mia opinione è che, in questa fase di transizione, l’Italia stia sprecando grandi quantità di denaro per nulla e per di più senza benefici ambientali. Noi il gas lo abbiamo, sappiamo dov’è ma non lo estraiamo per varie ragioni. Il risultato è che lo importiamo, soprattutto dalla Russia. Quindi lo compriamo, lo paghiamo ma a livello ambientale non cambia nulla, anzi. Il gas che utilizziamo viene comunque estratto, solo in un altro paese, e in più dev’essere trasportato, contribuendo così ad aumentarne l’impatto inquinante.

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