Cinema

Festival di Venezia 2021, America Latina: i giovani geniacci D’Innocenzo piazzano subito un ineludibile segreto e noi siamo costretti al silenzio

Aggrappiamoci pure sugli specchi, allora, per spiegare questo cinema che smaterializza convenzioni narrative (Muccino ne sa qualcosa) e trasfigura l’intramontabile esperienza realistica in una specie di favola nerissima, incubo semi razionale, inconscio marcito e schizzato.

di Davide Turrini

Vedi America Latina dei Fratelli D’Innocenzo, in Concorso a Venezia78, e rischi lo spoiler. Giovanissimi geniacci ancora grezzi ma talentuosi, i gemelli di Tor Bella Monaca ti piazzano un ineludibile segreto della trama del loro film a nemmeno dieci minuti dal via e chi ne scrive è ovviamente costretto al silenzio. Aggrappiamoci pure sugli specchi, allora, per spiegare questo cinema che smaterializza convenzioni narrative (Muccino ne sa qualcosa) e trasfigura l’intramontabile esperienza realistica in una specie di favola nerissima, incubo semi razionale, inconscio marcito e schizzato.

Nella pianura pontina, che tanto è simile alla bassa Romagna del ravennate, tra edifici dismessi e scheletri natural-industriali, vive in una enorme villa con piscina e scalone azzurro semi circolare che sale al primo piano, spazio isolato apparentemente ignifugo al fuoco del mondo circostante e nel benestare evidente ma non ostentato, il dentista Massimo (Elio Germano). Attorniato da efebiche, soavi, silenziose e accondiscendenti moglie e due figlie (una adolescente e l’altra appena maggiorenne) sempre vestite di leggeri abiti bianchi o di colore chiaro, l’uomo alterna il lavoro nello studio a qualche controllata bevuta serale in auto tra i campi con l’amico del cuore. Poi all’improvviso è attirato da un mugolio che proviene dalla propria enorme cantina. Un piagnucolio che si fa ogni giorno più assillante, facendolo scivolare prima in una sinistra irrequietezza con familiari e conoscenti, poi in una crescente esasperante follia. Inutile pensare, come si cercava invano in Favolacce (qui auto-omaggiato in una sequenza davanti alla tv), che tirando il filo del testo si possa venire a conoscenza delle reali colpe del protagonista (ha compiuto davvero un determinato folle gesto oppure no?).

In America Latina ciò che importa è il trip visivo, l’impianto figurativo spurio verso lo sfondo (un bar sfuocato, una rimessa di auto tagliata sullo stretto, interni privi di fronzoli riconoscibili) attraverso il quale i D’Innocenzo (anche allo script) trasformano la materia, orientano il senso, cancellano la parola, mantenendo comunque viva l’attenzione su un rovello psicologico che avrebbe titillato un Bergman o un Antonioni. Il film ha così un moto orizzontale ripetuto e continuo, uno scorrimento gocciolante da sinistra verso destra come i titoli di testa su un’unica riga a metà schermo. O un po’ come in quella inquadratura, immagine girata di novanta gradi, simbolo dello stile dei bros. romani e sintomo del disagio del protagonista, dove Massimo/Germano china la testa calva (somigliante in tutto e per tutto al cuore di tenebra del colonnello Kurtz) al getto di una doccia ripulente e l’acqua “scende” verso la parte destra dello schermo con effetto antigravitazionale.

È in quel minuzioso posizionamento/angolazione/distanza della macchina da presa dal protagonista che si racchiude lo sconvolgente rispecchiamento triplice autori/protagonista/spettatori di America Latina. Un mezzo busto in automobile di Massimo con la macchina da presa leggermente rialzata sul cofano e il suo volto che si perde nel riflesso di un cielo cupo; la mezza porzione di viso dell’uomo a letto silenziosamente inquieto, immagine ancora una volta “girata” come su uno smartphone di novanta gradi. La cartina per orientarti con gli occhi e con l’istinto del resto, in America Latina, te l’hanno portata i due registi. Attenti più al percorso di ricerca stilistica che al risultato narrativo da ottenere, raggiunto comunque o meglio con più facilità rispetto al più squadernato Favolacce (anche se gli ultimi due minuti non ci hanno convinto granché) America Latina ha qualcosa di rispettosamente garroniano e ingenuamente lynchiano. Fermo restando che i gemelli sono dei fenomeni che si faranno grandi.

Festival di Venezia 2021, America Latina: i giovani geniacci D’Innocenzo piazzano subito un ineludibile segreto e noi siamo costretti al silenzio

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