Tutti abbiamo letto che i vaccini contro il Covid-19 hanno efficacia molto elevata, con fattori di protezione spesso superiori all’85-90%. Questa scala di misurazione, che si usa anche per molti farmaci, come ad esempio i contraccettivi orali, non è ovvia: cosa vuol dire che un vaccino ci protegge al 90%? Di certo non ci possiamo ammalare del 10% di un Covid o di un morbillo.

Gli studi di efficacia fanno parte della fase 3 della sperimentazione clinica e richiedono un grande numero di soggetti. Per i vaccini contro il Covid sono stati svolti in paesi e in periodi nei quali l’epidemia era molto attiva (e sarebbe stato impossibile fare altrimenti). Sul sito dell’Aifa si può leggere quanto segue su uno studio condotto sul vaccino Pfizer-Biontech: “Il 95% di riduzione si riferisce alla differenza tra i 162 casi che si sono avuti nel gruppo dei 18.325 che hanno ricevuto il placebo e i soli 8 casi che si sono avuti nei 18.198 che hanno ricevuto il vaccino.”

Ovvero: è stato costruito un gruppo di oltre 36mila soggetti sani scelti casualmente nella popolazione sana, ed è stato diviso in due sottogruppi. Un sottogruppo è stato vaccinato, l’altro no. Si sono registrati i casi di Covid nei due gruppi per un tempo prefissato, poi lo studio è stato interrotto e si è confrontata l’incidenza della malattia nei due sottogruppi. Nello studio citato dall’Aifa, a quasi-parità di consistenza numerica dei due sottogruppi, il sottogruppo dei vaccinati aveva avuto un numero di casi di Covid pari al 5% del numero registrato nel sottogruppo non vaccinato, indicativo di un livello di protezione del 95%. Sono possibili naturalmente analisi statistiche più raffinate, che possono tenere conto di sottogruppi di numerosità diversa e di altre variabili, ma il principio generale è sempre il confronto tra l’incidenza della malattia nei due sottogruppi.

Perché un vaccino non immunizza il 100% dei soggetti? Ci sono varie ragioni. In primo luogo neppure la malattia, della quale il vaccino è una imitazione, stimola una valida risposta immunitaria nel 100% dei soggetti: alcuni soccombono, altri sviluppano una infezione di lunga durata. In questi soggetti la risposta immunitaria è insufficiente a garantire la guarigione completa. In secondo luogo, il vaccino è una imitazione incompleta della malattia e non sempre produce uno stimolo immunogenico altrettanto energico.

Il parametro “incidenza della malattia” richiede una precisazione importante: la malattia può essere definita in vari modi, inerenti alla severità del quadro clinico e questo comporta differenze significative nella percentuale di protezione; ad esempio, se si definisce (impropriamente) “malattia” la positivizzazione del tampone rinofaringeo (che indica la presenza del virus nelle primissime vie respiratorie) anche in soggetti asintomatici, il livello di protezione offerto dal vaccino Pfizer-Biontech è nell’ordine del 50-60%; se invece si definisce “malattia” una condizione clinica sintomatica e potenzialmente a rischio di ricovero ospedaliero la protezione è superiore al 90%.

In pratica tra i vaccinati sono molto rare le forme gravi della malattia, meno rare quelle lievi o asintomatiche, confinate alle mucose respiratorie. Probabilmente questo accade perché il vaccino non sviluppa una forte risposta immunitaria a livello delle mucose, ma solo o prevalentemente a livello del sangue. È stato inoltre dimostrato in uno studio del servizio sanitario nazionale inglese che i vaccinati, se positivi al tampone, risultano meno contagiosi dei non vaccinati, con una differenza del 50% circa: ovvero la vaccinazione dell’intera popolazione può ridurre alquanto la circolazione virale rispetto a quella che si osserverebbe in sua assenza.

Ogni vaccino ha due azioni: una “egoistica” (proteggere il vaccinato), l’altra “altruistica” (limitare la circolazione virale, proteggendo così anche i non vaccinati). I vaccini in uso contro il Covid sono molto validi per la prima azione, alquanto meno validi per la seconda e purtroppo non è certo che il loro effetto “altruistico” sia sufficiente a far calare l’indice R sotto l’unità, e far terminare l’epidemia, perché l’indice R cala in funzione della frazione degli immuni e i soggetti vaccinati che però possono contagiarsi non sono immuni ai fini epidemiologici; ma se si vaccinasse tutta la popolazione la mortalità da Covid si ridurrebbe di almeno cento volte.

Questi dati trovano un immediato riscontro in quanto è accaduto a luglio in Israele e in Uk, due paesi che sono stati all’avanguardia con le vaccinazioni: nella quarta ondata (in Uk fino a 50mila contagi al giorno) tra il 40% e il 50% dei contagiati diagnosticati era vaccinato. In entrambi i paesi la percentuale di vaccinati è nell’ordine del 60%. Ma tra i contagiati che erano vaccinati la malattia è stata più lieve e i decessi sono stati molto rari: chi si vaccina è protetto, e relativamente al sicuro dalle più gravi conseguenze della malattia, anche se incontra persone non vaccinate; invece chi non si vaccina è a rischio anche se frequenta soltanto persone vaccinate.

I vaccini oggi in uso non sono in nessun modo “sperimentali”: hanno svolto gli studi clinici prescritti e la loro efficacia è molto grande, al di là di ogni ragionevole dubbio. Però le casistiche usate negli studi di efficacia, sebbene grandi in assoluto, sono troppo piccole per rivelare effetti collaterali rari, con incidenze nell’ordine di qualche caso per milione di dosi somministrate. Inoltre i prescritti test clinici a causa dell’urgenza sono stati svolti in parallelo anziché in sequenza e questo ha comportato che l’osservazione degli effetti positivi e avversi dei vaccini si è protratta su tempi più brevi dell’usuale. Per queste ragioni le varie agenzie regolatorie (Ema, Aifa) hanno approvato l’uso di questi vaccini secondo le usuali e previste procedure di urgenza, anziché secondo le procedure ordinarie. Quando un farmaco o vaccino viene approvato con procedura d’urgenza, l’autorizzazione è condizionata, ovvero soggetta a scadenza e rinnovabile.

Inoltre gli effetti collaterali rari, costantemente monitorati in corso d’opera, comportano una rivalutazione dei vaccini a intervalli regolari. Il regime di autorizzazione condizionata dovrebbe terminare nel 2023. Ovviamente sarebbe stato possibile per le agenzie regolatorie negare l’autorizzazione condizionata e la procedura d’urgenza e richiedere invece le casistiche e i tempi previsti per la procedura ordinaria. La procedura d’urgenza è dovuta quando non siano disponibili altre opzioni terapeutiche o preventive: nelle condizioni di allora si verificava in molti paesi una elevata mortalità giornaliera per Covid.

Indubbiamente l’effetto dei vaccini sulla riduzione della mortalità è stato molto grande, e rinunciare alla procedura d’urgenza avrebbe causato molti decessi evitabili. Ovvero: non è possibile proteggere al tempo stesso la popolazione dall’epidemia e dagli eventuali rischi, certamente molto minori, del vaccino; uno dei due rischi è inevitabile.

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