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G8 Genova, Jovanotti: “Paese democratico trasformato in un luogo lugubre e squilibrato”. Il suo racconto

Lorenzo Jovanotti e la sua testimonianza del terribile giorno del G8 di Genova: "Siamo arrivati a Genova al mattino presto partendo da Milano. Entrando in città è stato subito chiaro che l’atmosfera non prometteva niente di buono..."

di F. Q.

Tra coloro che stanno scrivendo una testimonianza nel giorno del ventennale del G8 di Genova c’è anche Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Sulla propria pagina Facebook, il cantautore toscano ha scritto un lungo post che accompagna una foto di lui insieme a Bono Vox degli U2 e Bob Geldof. “Il 20 luglio di vent’anni fa c’ero anche io a Genova“, ha esordito. E poi: “L’intenzione era di partecipare al grande corteo pacifico. Avevo convinto i miei musicisti e un paio di amici a seguirmi in questa cosa. Sul rimorchio di un camion avevamo allestito casse e strumenti per suonare durante la marcia annunciata per il pomeriggio. Ero lì per ‘jubilee 2000’ (qualche mese prima c’era stata la mia cosa sul palco di Sanremo), sotto questa sigla si ritrovavano tutte le organizzazioni e le persone da tutto il mondo unite nel sostenere la cancellazione del debito dei paesi più poveri del pianeta. Un debito accumulato negli anni nei confronti dei paesi ex colonialisti e di grandi istituzioni finanziarie (Fondo monetario internazionale su tutte). Era una causa giusta, condivisa da milioni di persone compresi molti economisti illuminati e lungimiranti”.

E ancora: “Siamo arrivati a Genova al mattino presto partendo da Milano. Entrando in città è stato subito chiaro che l’atmosfera non prometteva niente di buono. Io non ero mai stato in una zona di guerra ma quella lo era chiaramente, nonostante all’arrivo alla scuola di Boccadasse dove ci eravamo dati appuntamento ci fosse radunata un’umanità che più varia non se ne può vedere e nessuno dei presenti con l’aria minacciosa o sospetta. […] Verso mezzogiorno le prime notizie di tensioni e scontri in giro per la città, che era stata allestita dal governo di allora come una specie di scenografia della paura, e al porto una roccaforte che più che inespugnabile sembrava un invito al tentativo dei ‘soliti’ di superare i limiti imposti […] Quella era la scenografia allestita per un teatro di guerriglia. Finestre chiuse, serrande abbassate, blindati ovunque”. Poi la terribile notizia: “Quando stavamo per metterci in movimento verso la zona del corteo è arrivata la notizia non subito confermata ma così credibile da suonare immediatamente come un fatto avvenuto: c’era stato un ragazzo ucciso. Non c’era ancora il nome: Carlo Giuliani, che arrivò poco dopo, a segnare per sempre quella giornata come una delle più brutte del nostro dopoguerra. Un paese democratico si era trasformato in un luogo lugubre e squilibrato“.

E infine ha concluso: “Mentre eravamo lì con Prodi (presidente della Commissione Europea, ndr) a parlare a Bolzaneto, poco distante, stava succedendo il finimondo, venivano massacrati di botte ragazzi inermi. […] Ammetto che ci fosse una certa ingenuità nel mio sguardo, che non è svanita del tutto, che anzi considero preziosa, una sorta di antidoto al cinismo e un allenamento a contestualizzare, sapendo che facendo si può sbagliare ma non facendo non si fa“.

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