di Gianluca Pinto

“Per il bene del Paese”. Con questa logora formula ogni santissimo giorno che vede la luce in questo paese la stampa incensa in modo imbarazzante le azioni del governo Draghi, usando modi di dire leggermente ambigui, come il “tirare dritto” (mancano ancora “Draghi se ne frega e va avanti”, “Draghi spezza le reni al Covid” o “Con Draghi i treni sono in orario”). Possiamo dirci che il bene del paese consiste anche, necessariamente, nel fatto di avere una democrazia rappresentativa in grado di raccontare il paese e di farlo con azioni parlamentari e di governo? Possiamo ricordare che il “bene del paese” è dato anche dalla coerenza di almeno qualche forza politica all’interno dell’emiciclo, per non far completamente perdere fiducia nel sistema democratico?

Guarda tu che ironia sarebbe se oggi il “bene del paese” avesse necessariamente a che vedere, ancora una volta (la prima occasione fu la gestione della pandemia), con le decisioni che deve prendere Giuseppe Conte. Questo perché il “bene del paese” consiste anche nell’avere almeno un movimento politico che cerchi di rappresentare alcune istanze non rappresentate. Oggi il “bene del paese” è anche non disilludere definitivamente chi ha votato il M5S e che si ritroverebbe ancora una volta senza riferimenti, andando ad ingrossare il pericoloso 40% degli indecisi.

Abbiamo assistito all’inconsistenza dei 5s sullo sblocco dei licenziamenti, sulla perforazione della cucitura principale del decreto dignità. Nel mirino ora c’è il reddito di cittadinanza, nella logica del “diamo a chi ha già preso” e “i poveri devono ringraziare i ricchi a prescindere” (tutto questo si svolge naturalmente nel momento opportuno, ossia nella crisi pandemica).

Il RdC è una misura necessaria e altamente positiva (pensiamo a cosa sarebbe successo in pandemia senza di esso) che, come effetto secondario, sta anche portando a galla i problemi del lavoro sottopagato. Oggi il “bene del paese” implica anche che (con una eventuale cancellazione del reddito di cittadinanza, la situazione di povertà peggiorerà in modo preoccupante) ci sarà bisogno di una forza che raccolga le istanze di coloro che saranno colpiti da questa situazione per indirizzarle verso un percorso democratico (questo in assenza della possibilità di una rivoluzione che prevedrebbe come assunto di base una coscienza ”collettiva” e di classe avanzate).

Oggi il “bene del paese” prevede anche, in caso di impossibilità di incidere, una rottura e una uscita del M5S dal governo Draghi. Sarebbe “normale” che ciò riguardasse anche partiti come LeU, ma non noto barlumi di consapevolezza (la mucca nel corridoio di Bersani – nel suo corridoio, non nel mio – è il governo Draghi).

Purtroppo le decisioni di Grillo di questi ultimi mesi hanno portato il M5S a essere il nulla cosmico. L’ultima impresa del comico (che evidentemente ha scelto questa volta di divertirsi lui alle nostre spalle, senza però pagarci il biglietto), non può nemmeno essere descritta come delirante, perché sarebbe limitativo. Con poche telefonate (che hanno portato i membri 5S del governo a votare sì ad una porcheria che di fatto sconfessa la visione della giustizia del movimento stesso) ha devastato il M5S e ha tolto la possibilità di recuperare quel po’ di credibilità di cui il Movimento necessitava.

Sulla giustizia è successa dunque una cosa gravissima, che riguarda la rappresentanza stessa e, quindi, le future decisioni delle forze presenti in Parlamento in merito al tema. Il M5S ha ancora questa carta da giocare per poter almeno intervenire rapidamente sulla ferita che rischia di dissanguarlo definitivamente.

Credo che la separazione nel M5S sia necessaria, e credo che nei prossimi mesi Giuseppe Conte debba assumersi questa responsabilità (si è assunto quella di chiudere un paese, credo che possa gestire egregiamente anche questo nuovo compito ingrato).

Purtroppo oggi il “bene del paese” comporta anche il decidere, quando messi alle strette: “O noi o voi”.

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