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Sabino Cassese e i manganelli buoni di Scelba contro quelli di Santa Maria Capua Vetere

Sabino Cassese e i manganelli buoni di Scelba contro quelli di Santa Maria Capua Vetere
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Il giurista Sabino Cassese, insigne accademico, dispensa consigli dagli schermi delle tv e dalle pagine dei grandi giornali. E’ talmente tanto insigne che il suo nome spesso viaggia lungo i fili immaginari che portano al Colle più alto, il Quirinale. Una prospettiva che non ci piaceva prima e che oggi confidiamo sia definitivamente sepolta. Già, perché Cassese ha superato la linea di guardia rivelando, dalle pagine del Corriere della Sera, nostalgia per il manganello del ministro Mario Scelba, cosa che non può coesistere con il pensarsi un sincero democratico.

Scrive l’insigne: “I manganelli adoperati a Santa Maria Capua Vetere erano gli stessi di quelli della polizia di Scelba: ma quest’ultima li adoperava (non sempre) per impedire illegittimità o reprimerle, nel carcere campano sono stati adoperati per arrogarsi un illecito potere di punire”. Non credete che da questo momento in poi quando parla Cassese sia bene sempre ricordarsi di queste sue parole?

Solo a beneficio dei più giovani, perché Cassese lo sa bene chi è stato Mario Scelba, fu un uomo politico assolutamente centrale nelle dinamiche dell’Italia degli anni 50, siciliano di Caltagirone, più volte ministro degli Interni e anche presidente del Consiglio tra il ’54 e il ’55. Concepì l’idea di mettere insieme una serie di fascicoli su personalità di primo piano nei campi politico, sindacale, degli affari e intellettuali. I fascicoli vennero raccolti insieme, ben documentati e quando il suo successore, il reazionario Tambroni, divenne ministro dell’Interno allargò la raccolta.

L’allora servizio segreto italiano, il Sifar , concepì poi l’idea del ‘Piano solo’, cioè la programmazione di un colpo di Stato contro il protagonismo eccessivo del centrosinistra. Il nome di Scelba, insieme a quello di Tambroni, sono tragicamente legati ad un’immagine orribile, quella della strage di Reggio Emilia, avvenuta nel luglio del 1960 nel corso di una manifestazione sindacale repressa nel sangue alla quale seguirono molte altre rivolte ovunque in Italia, da nord a sud, con altri morti e molti feriti gravi. Tutto era nato perché l’idea di Tambroni di far celebrare il congresso del Movimento sociale nella Genova antifascista era intollerabile per la coscienza democratica del paese ancora così intimamente legata al ricordo della Resistenza.

Ebbene come abbia potuto l’insigne scrivere dei fatti orribili di Santa Maria Capua Vetere, immaginando un manganello lieve e democratico della polizia di Scelba con quello violento di quegli agenti penitenziari, davvero ci è difficile capirlo. Ma è uno sforzo che forse possiamo evitarci.

Meglio ricordare le parole di Fausto Amodei e della sua ballata emozionante che ha accompagnato molte generazioni onorando i morti di Reggio Emilia: “Compagno Ovidio Franchi, compagno Afro Tondelli, e voi Marino Serri, Reverberi e Farioli dovremo tutti quanti aver d’ora in avanti Voialtri al nostro fianco per non sentirci soli”.

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