“Il Jobs Abs ha fatto dei disastri. Questa idea che è colpa tua se se non trovi un buon lavoro è un effetto culturale del Jobs Act, quasi a dire che se sei bravo, se sei sveglio, se sei furbo, se hai buoni rapporti, non hai problema a trovare un lavoro. Se non lo trovi, sei tu che sei fesso”. Così, ai microfoni de “L’Italia s’è desta” (Radio Cusano Campus), il segretario della Fiom Piemonte, Giorgio Airaudo, commenta la situazione del lavoro post-pandemia e del rifiuto diffuso dei lavoratori stagionali ad accettare proposte irricevibili.

E aggiunge: “Cominciamo ad avere uomini e donne di 40 anni che hanno alle spalle anche 20 anni di precariato e di quelli che vengono chiamati ‘lavoretti’. Anche questa idea di chiamare lavoretti determinati lavori è stata un’operazione culturale di demolizione del lavoro. I ‘lavoretti’ non esistono. Il lavoro è tutto importante e buono. Ce ne siamo accorti durante la pandemia: senza i rider, le commesse, gli scaffalisti, i magazzinieri, i camionisti, il Paese non avrebbe retto. Si tratta di cominciare a riconoscere al lavoro il suo valore – continua – cioè buon salario, diritto all’assistenza sanitaria, alla malattia, alle ferie, diritto a non morire sul lavoro, tutte cose che i nostri nonni e padri si erano conquistati negli anni ’50 e ’60 e che dagli anni ’80 fino all’altro ieri sono stati demoliti come vecchi arnesi, perché la competizione del mercato tutto avrebbe risolto”.

Nel dibattito sul precariato e sulla sicurezza sul lavoro, Airaudo analizza una delle lettere arrivate alla redazione de ilfattoquotidiano.it, in particolare quella di un lettore 31enne impiegato come mulettista in un ingrosso alimentare campano che fattura milioni di euro l’anno, ma che lo paga 840 euro al mese per 12 ore giornaliere di lavoro: “Queste situazioni sono molto diffuse, più di quanto pensiamo, e sono anche cresciute. Queste però sono responsabilità dello Stato, nel senso che, anche dove abbiamo buone leggi, mancano gli ispettori del lavoro, cioè coloro i quali fanno rispettare quelle leggi. Guardando le statistiche dei controlli che vengono fatti, si appura che si tratta di una cosa rarissima – continua – anche in una grossa impresa di quel tipo, dove dovrebbe essere normale un controllo all’anno. E invece possono passare 10 anni senza che nessuno li controlli. Se non ti controlla nessuno, la tentazione di violare le norme e di speculare sui lavoratori diventa fortissima. Tutto questo però non è colpa della pandemia, ma inizia a costruirsi dagli anni ’80, quando le merci sono divenute più importanti delle persone e gli esseri umani sono ormai diventati a disposizione delle merci. E per far muovere queste merci, tutto è giustificato. Il fatto che non riusciamo a debellare le morti sul lavoro ne è l’esempio più clamoroso”.

Airaudo menziona la tragedia di Adil Belakhdim, coordinatore provinciale dei Si Cobas di Novara e sottolinea: “In molti altri Paesi i controlli ci sono. Le morti sul lavoro in Francia e in Germania, Paesi coi quali vogliamo competere, non sono minimamente paragonabili alle nostre. Il problema vero è che qua servono ispettori del lavoro. Bisogna che un’impresa sappia che ci sono dei controlli e che i protocolli di sicurezza vanno rispettati, come dimostra la vicenda dell’orditoio di Prato e della morte di Luana D’Orazio. Noi siamo un Paese in cui gli ispettori del lavoro scioperano perché sono troppo pochi. Ma vi sembra una cosa normale che un ispettore del lavoro, che deve far rispettare le leggi, debba scioperare per far applicare le leggi? – conclude – È una roba folle, da barzelletta. Eppure succede da anni. La verità è che servirebbe un governo che difendesse il lavoro. In passato, abbiamo avuto ministri del Lavoro di segni politici diversi, dal socialista Brodolini al democristiano Donat-Cattin. Loro si definivano ‘ministri dei lavoratori’ e spiegavano che il sistema delle imprese, per sua natura, è più forte del singolo lavoratore, che è dipendente. Negli ultimi 20-30 anni, invece, abbiamo avuto ministri del Lavoro che non erano dalla parte dei lavoratori. Sinceramente io non ne ricordo uno“.

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