Il Tar le ha già giudicate illegittime. E ora le nozze da 450 milioni di euro tra le multiutility A2A e AEB vengono messe in discussione anche dal terzo incomodo, la società pubblica Brianza Energia Ambiente (BEA), che a fine 2019 aveva provato a salire sull’altare con AEB, ricevendo però un netto rifiuto. Proprio in considerazione di quel rifiuto, BEA interviene davanti ai giudici del Consiglio di Stato chiedendo loro di confermare la sentenza del Tar. E di bocciare definitivamente la fusione A2A-AEB.

Un colpo di scena nel risiko delle multiutility del Nord. Le argomentazioni di BEA partono dalla manifestazione di interesse inviata ad AEB il 3 dicembre 2019 per l’acquisto di una sua partecipata, Gelsia Ambiente, che si occupa di raccolta rifiuti in 26 comuni della Brianza. L’obiettivo della proposta era di creare sinergie visto che anche BEA, i cui soci sono la Provincia di Monza e Brianza e alcuni comuni della zona, si occupa di rifiuti e in particolare gestisce l’inceneritore di Desio. Ma l’offerta era stata ignorata da AEB che, sempre in Brianza, si occupa di fornire servizi come acqua, elettricità e gas. E che nello stesso periodo aveva ricevuto un’altra proposta: quella di A2A, società misto pubblico-privata per metà proprietà dei comuni di Milano e Brescia, interessata a portare avanti un progetto di integrazione. Tale progetto è andato a buon fine un anno fa, senza però che AEB e A2A siano passati per una gara pubblica, sostenendo che la fusione fosse “infungibile”, cioè non sostituibile da altre operazioni per la mancanza di società in grado di garantire la stessa competitività di A2A. Il Tar a febbraio ha bocciato questa tesi, AEB e A2A hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato che ha già respinto una richiesta di sospensiva della sentenza del Tar e si esprimerà nel merito a inizio luglio.

Nella causa, come detto, interviene ora BEA, con un ricorso in appoggio a chi ha vinto al Tar: alcune piccole società del settore, il consigliere regionale del M5S, Marco Fumagalli, e Tiziano Mariani, consigliere del comune di Seregno, il principale azionista di AEB.

La tesi di fondo di BEA è una: la proposta per l’acquisto di Gelsia Ambiente è la dimostrazione che AEB avrebbe potuto trovare un partner sul mercato, attraverso un bando. A2A infatti non era l’unica società interessata ad AEB: la stessa BEA, si legge nel documento depositato in Consiglio di Stato, oltre a manifestare il proprio interesse per le quote di Gelsia Ambiente si era resa disponibile “a valutare ogni altra iniziativa di aggregazione da definirsi tra le parti”. Ma il sindaco di Seregno, il Dem Alberto Rossi, “ha fatto sapere di giudicare inaccettabile, inopportuna e addirittura offensiva la proposta di BEA, poiché gli è sembrato che la stessa potesse essere di ostacolo rispetto all’operazione con A2A”.

Tra le giustificazioni usate da AEB per rifiutare l’offerta di BEA, quella che una cessione di quote societarie sarebbe dovuta passare per una procedura ad evidenza pubblica, proposito in seguito non seguito per le nozze con A2A. Un fatto che il legale di BEA, Enzo Robaldo, definisce “paradossale”. È evidente – scrive nel ricorso – che la proposta di BEA “meritava di essere esaminata e approfondita, invece di essere sostanzialmente ignorata”.

Per il consigliere del M5S Fumagalli, “se effettivamente il sindaco di Seregno ha ignorato l’offerta di BEA, siamo in presenza di un’operazione che è stata fatta contro gli interessi del territorio, ad uso esclusivo della Borsa e di qualche politico compiacente”. Critico anche Tiziano Mariani, che accusa il sindaco di “aver tenuto nascosto al Consiglio comunale l’interesse manifestato a suo tempo da BEA”. E, dopo le verifiche sull’integrazione con A2A fatte a dicembre dalla Guardia di finanza nella sede di AEB e l’arresto di due settimane fa di due ex dirigenti di Gelsia Ambiente per una vicenda di presunte tangenti non legata a questa operazione, si augura: “Ora la parola sulla fusione AEB-A2A passi alle Procure della Repubblica”.

@gigi_gno

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