Non ha età il mago, e spesso nemmeno corpo, o almeno così pare ai difensori avversari quando lo immaginano in un posto e lui compare, inaspettatamente, in un altro. Ha il 10 sulle spalle, la faccia simpatica e furbetta e le sue magie vengono solitamente accompagnate da un coretto che sulle note di “Go West” recita “Alè Abedi Pelé, Alè Abedi Pelé”. Abedi è il nome vero, Pelé il soprannome che ha scalzato il cognome Ayew per ragioni facilmente intuibili: quel ragazzino presumibilmente nato a Kibi e cresciuto a Domè, Ghana, presumibilmente a novembre del 1964, ma magari del 1966, è parecchio bravo a giocare a pallone. E così dopo le giovanili nei Great Falcons, ragazzino ma già mago va tra i professionisti del Real Tamale, dove piedi fatati e gol dicono a chi lo guarda che Ayew non è abbastanza ed è meglio Pelé, come O’Rey, e sì, il paragone è troppo ardito, ma Abedi ci ride su. Nome e magie gli valgono la nazionale e la Coppa d’Africa dell’82, che vince col suo Ghana. La coppa si gioca in Libia e qui lo nota l’emiro a capo dell’Al Sadd, squadra qatariota: per 1000 dollari può comprarsi Pelé, uno sfizio decisamente a buon mercato per uno emiro. “Mi ricopriva di soldi: guadagnavo tanto, ma mi mancava il sorriso“, dirà Abedi, che dal Qatar va allo Zurigo, in Svizzera, segnando 9 gol in 18 partite che dovrebbero aprirgli le porte del calcio europeo.

Qualcosa va storto: cosa di preciso, come spesso capita nella vita del mago, non si sa ma di fatto torna in Africa, prima in Benin e poi di nuovo al Real Tamale, in Ghana. Sembra finita come per tanti altri calciatori africani di belle speranze, ma è solo un’illusione, di quelle con cui finge di perdere il pallone per poi infilarlo preciso tra gli avversari mandando i compagni a far gol. Lo compra il Niort, in Francia: è seconda divisione, ma va bene. E Abedi fa quel che sa fare: segna, fa segnare i compagni e regala giocate deliziose. È’ atipico per essere un calciatore africano: è veloce, ma non esplosivo e muscolare, è mingherlino, non potente, ma sa giocare il pallone con tecnica sopraffina, ha visione di gioco e furbizia in area di rigore. Insomma, mette piedi e testa prima di muscoli e corsa: qualcosa visto in Jay Jay Okocha e in pochi altri. Caratteristiche che gli valgono la chiamata dell’Olympique Marsiglia nel 1988: è lo squadrone messo su da Tapie, forse troppo per Abedi che si ritrova davanti Papin, Cantona, Allofs.

La società perciò lo manda in prestito biennale al Lille: ancora una volta Abedi dice che sì, Pelé è solo un soprannome, ma lui a calcio sa giocare, ed è pure un gran giocatore. Le due stagioni in prestito sono ottime e Tapie lo richiama, stavolta per fargli fare il titolare. In quella squadra ci sono Papin, Cantona, Waddle, Pixie Stojikovic… e c’è pure Abedi, che ci sta alla grande. C’è in campionato, dove vince, c’è in Coppa dei Campioni quando i francesi fanno vedere le streghe al Milan ai quarti di finale, tanto da far saltare i nervi a Franco Baresi, che frustrato gli urla in faccia qualche parolina non proprio dolce. E sarà due anni dopo, sempre contro il Milan, sulla bandierina del calcio d’angolo a Monaco di Baviera, quando pennellerà il cross per il gol decisivo di Boli, che regalerà la Champions all’Olympique. Due anni dopo arriverà la chiamata dell’Italia: 1 miliardo al Lione e Gianmarco Calleri, presidente del Torino, si porta a casa un Abedi ormai 31enne.

È già il 1994, ma è pazzesco pensare che Abedi sia solo il quinto africano a giocare in Italia: c’erano stati prima di lui Zahoui all’Ascoli, Mendy al Pescara e proprio il fratello di Abedi, Kwame Ayew al Lecce un anno prima. Con Pelé, quell’estate era arrivato anche Sunday Oliseh alla Reggiana, dopo aver ben impressionato nel mondiale americano con la Nigeria. Al Toro Pelé sceglie la 10, e fa bene: con Osio, Silenzi e Rizzitelli come compagni di reparto delizia i tifosi e spesso mette in crisi gli avversari. Con le sue prodezze diventa punto di riferimento della squadra, sovente si sentirà il “passate ad Abedi”, urlato dal mister granata Sonetti durante le partite.
Ne fa 10, in campionato, almeno altri 10 ne fa segnare ai suoi compagni, facendo accarezzare a lungo addirittura il sogno di un piazzamento in Europa, non riuscendovi, ma chiudendo comunque ottimamente la stagione con una doppietta, il 28 maggio 1995 alla Reggiana.

Non si ripeterà l’anno dopo Abedi: l’età è quella che è, c’è la Coppa d’Africa che lo tiene lontano a lungo, e concluderà la stagione con soli 3 gol e la retrocessione del Toro, a cui dirà addio. Di lì a poco chiuderà la carriera, vedrà iniziare quella dei tre figli, Abdul Raheem, Andrè e Jordan Ayew, per poi fondare addirittura una squadra in Ghana, il Nania, per poi essere squalificato con l’accusa di aver truccato una partita… in effetti quel 31 a 0, dopo che al 60esimo il risultato era sul 2 a 0, con cinque infortuni, compresi i portieri, in pochi minuti un po’ saltava agli occhi. Ma in fin dei conti Abedi è “il mago”, magari avrà fatto una magia.

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