Nella collana Asiasphere (collana di narrative dell’Asia orientale e del Sudest asiatico diretta da Gianluca Coci per conto di Atmosphere Libri), tra le ultime uscite ci sono quattro titoli molto interessanti.

Il primo, Mosè sulla pianura (traduzione e cura di Paolo Magagnin), è dell’autore cinese Shuang Xuetao, gli altri tre sono di scrittori giapponesi e si tratta de La coppa di Apollo, di Mishima Yukio (traduzione e postfazione di Maria Chiara Migliore), I gatti non ridono, di Mukai Kōsuke (traduzione e postfazione di Daniela Guarino) e La casa impura, di Ono Fuyumi (traduzione e postfazione di Stefano Lo Cigno).

Mosè sulla pianura, di Shuang Xuetao, è una riuscita raccolta di racconti di uno dei maggiori autori del cosiddetto “Gruppo dei nuovi scrittori del Nordest”. Si tratta di scrittori nati in famiglie operaie e che attingono a piene mani dall’esperienza autobiografica. Anche in questa raccolta quello che emerge, oltre a questi tratti, sono una prosa lineare, semplice, assemblata intorno a registri colloquiali informali e storie di profonda quotidianità.

Il primo racconto lungo ruota attorno a una duplice indagine di polizia distante nel tempo ma con inquietanti analogie. Poi c’è il rapporto tra uno scacchista dalla passione quasi autistica per il gioco e il figlio adolescente, un laureato frustrato che si ritrova in un villaggio sperduto del Nordest per seppellire un amico dell’università, un dodicenne che rimane senza casa dopo la demolizione del quartiere e che si rifugia in uno stanzino all’interno di una fabbrica. Tutti i personaggi sono persone comuni, antieroi contemporanei, sconfitti dal balzo in avanti non più di maoistica memoria, che faticano a tenere il passo con la quotidianità. Tratteggio, questo, che rende i testi di Shuang Xuetao godibili e veritieri.

La coppa di Apollo, di Mishima Yukio, contiene i diari e gli articoli scritti dal celebre autore giapponese durante i suoi viaggi. La prima parte, dedicata a un lungo viaggio fatto tra il 1951 e il 1952, quando per un giapponese era molto faticoso avere il permesso per recarsi all’estero, vede Mishima negli Stati Uniti, in Europa e in Brasile. Dedica pagine di grande intensità ai colori delle Hawaii, alla vita metropolitana di New York e alle suggestioni oniriche che gli lascia addosso il territorio brasiliano.

La seconda parte è dedicata a viaggi intrapresi tra il 1957 e il 1958 e vedono gli Stati Uniti ancora protagonisti, oltre a excursus ad Haiti e a Cuba. La terza parte è una raccolta di tredici articoli scritti tra il 1952 e il 1967. Ancora New York, e poi Venezia, Londra, Hong Kong, Il Cairo, Bombay e Parigi, che l’autore non apprezza, trovando poco piacevoli l’architettura, il clima, le persone. Un testo interessante, nella sua integrità, che mostra il campione della letteratura pura alle prese con forme narrative più popolari. La traduzione della La coppa di Apollo, inoltre, è l’unica in una lingua occidentale.

I gatti non ridono, di Mukai Kōsuke, è la storia di Hayakawa, sceneggiatore con patologici problemi di alcol, abbandonato dall’ispirazione, che passa le sue giornate al bar. Una quotidianità stravolta dalla telefonata della sua ex, Renko, una regista di successo, che gli chiede di andare a trovarla per dare un ultimo saluto a Son, il loro vecchio gatto, custode di verità mai svelate. Il gatto, protagonista da sempre della letteratura giapponese – basti pensare a Io sono un gatto di Natsume Sōseki, Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami, Se i gatti scomparissero dal mondo di Genki Kawamura, Cronache di un gatto viaggiatore di Hiro Arikawa, La gatta, Shozo e le due donne di Junichiro Tanizaki – assume tratti enigmatici e surreali, celando in sé qualcosa di visionario, rappresentazione del perfetto anello di congiunzione tra il mondo reale e quello fantastico, incarnazione del dubbio che non tutto quello che idealizziamo – e Hayakawa è un maestro in quest’arte – non necessariamente debba rimanere per sempre una caricatura della nostra mente.

La casa impura, di Ono Fuyumi, è un romanzo scritto sotto forma di indagine-documentario che rimane in bilico tra il mondo reale e l’aldilà. L’io narrante riceve una lettera da una redattrice di una rivista e vorace lettrice di storie di fantasmi che sente rumori inquieti e vede oggetti spostarsi nella sua casa. Inizia da qui una vicenda di indagini, visione di dati catastali e interviste ai residenti del palazzo “stregato”. Un’indagine non ufficiale che porterà alle impurità di un lontano passato, a lutti e disperazioni di un’epoca remota. Usando il trucco narrativo del reportage, Ono, riesce a inserire il paranormale in un contesto di realtà contemporanea, elemento, questo, che rende il testo ambiguo e teso, continuamente in grado di spiazzare il lettore e di far emergere una criticità nei confronti della società giapponese, proiettata verso il futuro, ma legata in egual modo al passato. Un passato ripulito dagli orrori e dai ricordi dolorosi.

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