“Hanno seminato terricidio e ora raccolgono ribellione”. Questa una delle consegne della marcia del gruppo di donne indigene partita il 14 marzo dal territorio recuperato Lof Mapuche Pillán Mahuiza, 100 chilometri a sud della città di Esquel, Provincia di Chubut (Patagonia Argentina). La destinazione è la capitale della Repubblica Argentina, Buenos Aires, dove è previsto il loro arrivo per il 22 di maggio.

La data scelta dal Movimento delle Donne Indigene per il Buen Vivir per l’inizio della marcia non è stata casuale. Il 14 marzo si è celebrato infatti la “Giornata internazionale di azione contro le dighe e per i fiumi, l’acqua e la vita”, un evento simbolico adottato dai partecipanti al primo Incontro internazionale delle persone colpite dalle dighe, nel marzo 1997 a Curitiba (Brasile).

La decisione di marciare nasce da una concomitanza di fattori che vede gli incendi nella Patagonia argentina di febbraio e marzo scorso una delle principali cause ma non l’unica. Nella regione andina della Patagonia argentina, tra le province di Chubut e Río Negro, tra il 7 e il 23 marzo scoppiano almeno quattro incendi, che raggiungono un’intensità senza precedenti, provocando l’evacuazione di diversi centri abitati e la distruzione di migliaia di ettari di foresta e territorio indigeno ancestrale. La versione ufficiale dello Stato racconta di fattori metereologici e della noncuranza ambientale delle comunità, come elementi scatenanti di questo dramma ecologico, ma la versione delle comunità locali e dei gruppi indigeni è ben diversa.

Le comunità locali della provincia di Chubut e Rio Negro combattono infatti da tempo contro i progetti idroelettrici e di estrazione mineraria e l’idea che dietro a questi incendi ci siano interessi economici e politici è una verità molto diffusa in loco. Altro fattore scatenante della marcia, come raccontato da una delle leader della comunità Mapuche, Moira Millán, in un incontro virtuale tenutosi il 15 maggio insieme all’attivista indiana Vandana Shiva, è la questione del Chineo.

Il Chineo è una pratica aberrante che viene portata avanti dalla popolazione non indigena nel nord dell’Argentina nei confronti delle bambine indigene di etnia wichis. Si tratta di uno stupro di gruppo da parte di giovani “bianchi” che realizzano questo delitto inumano come rito di passaggio. Juana Atene, una delle referenti del Movimento delle Donne Indigene per il Buen Vivir, spiega che “Il Chineo è lo stupro di gruppo di ragazze indigene, per lo più di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni, al fine di marcare la proprietà sui loro corpi; non ha nulla a che fare con una pratica culturale e ancestrale tipica del mondo indigeno. È una pratica che è arrivata con la colonizzazione e che continua ad essere realizzata nelle province settentrionali in totale impunità”.

Il movimento aveva iniziato già dal 2019 una campagna per dare visibilità e fermare questa pratica, utilizzando l’hashtag #bastadechineo. Proprio a febbraio di quell’anno iniziava un processo storico che vedeva alla sbarra otto imputati per lo stupro di una bambina indigena avvenuto quattro anni prima. Un caso che era diventato anche il simbolo della lotta abortista nel paese. Nel febbraio 2021 però un altro caso di Chineo torna a sconvolgere l’opinione pubblica e a mobilitare i movimenti delle donne indigene. Nel Chaco argentino, un’altra bambina wichis viene stuprata e uccisa nell’indifferenza delle istituzioni, secondo quanto denunciato dallo stesso Movimento delle Donne Indigene per il Buen Vivir.

Il razzismo, l’odio, la negazione di una multietnicità nel paese e il continuo attacco ai corpi-territori delle donne indigene sono la base sulla quale si innalza il manifesto di insurrezione e ribellione che si concretizza nella marcia contro il terricidio. Sempre la leader del popolo indigeno Mapuche, Moira Millán, ha dichiarato il 15 maggio che “La Terra chiama le donne indigene a combattere. Noi donne indigene siamo corpi-territorio e la terra ci abita… Con questa marcia, portiamo le voci inascoltate della natura contro il terricidio promosso dal nuovo avido colonialismo. Stiamo vivendo una femminizzazione cosmogonica: la forza tellurica spirituale della Terra sta svegliando le donne e le donne combatteranno per difendere la Terra, vera fonte della loro reale identità. Noi non stiamo disputando il potere a questo sistema colonialista, patriarcale e capitalista. Stiamo lottando per ristabilire l’armonia”.

Camminano dunque, sono centinaia e si dirigono verso quella capitale che per tanto tempo ha lasciato inascoltate le loro denunce e le loro richieste, le rivendicazioni di 36 popolazioni indigene diverse che abitano il paese latinoamericano che più si sente “bianco ed europeo”. Camminano per curare, come dice il messaggio universale di questa potente e simbolica marcia: Caminamos para sanar.

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