Reboante. L’Ora muta di Simone Cerlini (Alter Ego) ha grandi ambizioni ma finisce per essere quel troppo che stroppia: sia per la lunghezza (oltre 400 pagine) che per il miscuglio di stili, storie, temi e personaggi. Un coacervo di cose che sarebbero state buone per almeno due o tre racconti di quelli brevi, che a Cerlini riescono tanto bene. L’Ora muta è infatti al contempo un romanzo di formazione, un romanzo d’amore e un romanzo sul lavoro, con un tocco di spy story e smarrimento generazionale, senza dimenticare pure un pizzico di denuncia sociale. Il mio scetticismo nei confronti di questo libro si è destato già leggendo le prime righe della prefazione e poi, pagina dopo pagina, si è consolidato. Tutto ha inizio con un focus su Camilla, la protagonista principale: l’autore ce la presenta all’università, un’anima infelice che si accende solo dopo aver conosciuto Luisa, la compagna di corso con cui avvierà un'”amicizia speciale”, fatta di trasgressioni, eccessi e ricerca di sé. E poi ancora, sempre lei, donna in carriera al centro del crack finanziario di una grande azienda di moda, impegnata a divincolarsi tra inciuci, trame di potere e affetti che si mischiano alle dipendenze. Sullo sfondo un’infanzia segnata dall’abbandono della madre e dal contrastante rapporto con il padre, figure inizialmente marginali ma che prendono improvvisamente consistenza nel cuore del romanzo, trasformandosi in figure chiave dell’intero impianto narrativo. Ogni personaggio di questa storia vale per sé, ci appare in piena luce con i suoi pregi e i suoi difetti, e contribuisce a tessere una trama labirintica ma a tratti scontata di intrecci tra esistenze che finiscono per essere tutte legate tra loro. È un racconto collettivo fortemente individualista, c’è chi sopravvive e chi esce sconfitto, in un accumulo costante di sottotrame. Un dramma esistenziale irrisolto, una tragedia personale e familiare che oscilla costantemente tra la superficialità (vedere ad esempio l’equazione università negli anni ’90 = rave party, sballo, ecstasy) e quell’eccessivo rimestare nel torbido. Insomma, questo libro richiede al lettore uno sforzo consistente di decodificazione salvo poi lasciarlo con in mano un pugno di mosche e in bocca il sapore dolceamaro di un finale inconsistente. Voto (inevitabile): 4.

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Lo Scaffale dei Libri la nostra rubrica settimanale: diamo i voti a Meli, Ceroni, Cerlini

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