A metà aprile è uscito il nostro rapporto sulle poltrone girevoli in collaborazione con il Fatto Quotidiano. Si tratta del primo report che analizza in chiave comparativa il fenomeno del revolving doors in Italia e in Europa, un tema spesso regolamentato all’estero ma colpevolmente quasi ignorato nel nostro Paese. Grazie agli approfondimenti pubblicati dal Fatto Quotidiano in queste settimane siamo venuti a conoscenza di numerosi casi di politici che negli ultimi anni sono passati da un incarico pubblico a uno privato senza preoccuparsi di tutelare l’interesse pubblico e di compromettere la concorrenza di mercato.

Con questo nostro primo post, vogliamo rilanciare la nostra campagna per fermare subito i conflitti d’interessi. Prima di tutto riepiloghiamo cosa sono le poltrone girevoli, tecnicamente porte girevoli, poi parliamo del conflitto di interessi e chiediamo a tutte e tutti voi di collaborare. Ti anticipiamo già come: se vuoi finalmente una legge che prevenga e sanzioni i conflitti di interessi, puoi unirti alle oltre 27.000 persone che hanno firmato il nostro appello e condividerlo!

Poltrone girevoli, porte girevoli, revolving doors, pantouflage: il problema è lo stesso

Sono tanti i sinonimi per descrivere il passaggio di un politico con un incarico pubblico ad una posizione di rilievo nel settore privato senza tutele per la cittadinanza o il mercato. Qual è il problema? Un politico non può decidere di cambiare vita e aspirare a un impiego nel privato una volta concluso il proprio mandato?

Certo che può, anzi glielo auguriamo, ma servono regole precise per scongiurare problemi di compatibilità: un ministro, un sottosegretario o un deputato con importanti responsabilità si occupa di temi delicati, consulta rapporti riservati, porta avanti trattative con Stati esteri o contrattazioni con aziende. Passare al settore privato, per esempio una banca o una multinazionale o una società di lobbying, senza un minimo di periodo di pausa può compromettere la sicurezza nazionale oppure sbilanciare il mercato a favore di una banca o un’industria, proprio perché il suddetto politico conosce delle trattative che gli altri non conoscono e possiede una rete di relazioni all’interno delle istituzioni che lo possono aiutare nel suo nuovo ruolo privato.

Qual è la soluzione? Un periodo di raffreddamento, questo è il nome tecnico, che va da un anno fino a un massimo di tre, a seconda dell’incarico ricoperto, in cui un’autorità indipendente vaglia il rischio per l’integrità pubblica e il mercato derivante dalle nuove attività professionali degli ex politici. Se un ministro della difesa alla fine del suo mandato verrà reclutato da una grande azienda delle armi, allora il suo nuovo incarico verrà stoppato (continuando a percepire per un certo periodo un’indennità pubblica).

Nessun problema per chi lascia le istituzioni per passare al settore privato non occupandosi dei temi che trattava durante il suo mandato. Per esempio, se un ex sottosegretario ai trasporti vuole aprirsi un ristorante oppure lavorare in una banca o in una fondazione che si occupa di sviluppo locale, può ovviamente farlo. L’importante è che non si occupi di trasporti presso una grande società privata, a meno che non si prenda qualche anno di pausa.

Il periodo di raffreddamento garantisce maggior sicurezza per tutti perché molte trattative in corso possono nel frattempo essersi concluse, i rapporti riservati pubblicati, così come potrebbero essere cambiate le forze politiche al governo, riducendo di conseguenza i contatti e le leve dell’ex politico con i rappresentanti delle istituzioni ancora in carica.

Al momento nel nostro Paese le porte girevoli non sono regolate, come d’altronde gran parte delle questioni e problematiche afferenti alla sfera del conflitto d’interessi.

Il conflitto d’interessi aspetta di avere una legge

Il conflitto di interessi è una battaglia cruciale per The Good Lobby: approvare una legge chiara ed efficace, soprattutto con l’imminente arrivo dei fondi europei del Recovery Fund è urgentissimo. Non possiamo permettere che i fondi destinati alla sanità, all’istruzione o alle imprese finiscano nelle tasche degli amici degli amici.

Cos’è il conflitto di interessi? In breve è quella situazione che può avvenire nei contesti decisionali (ma non solo) in cui un parlamentare o un membro del governo o un amministratore locale compie scelte o agisce influenzato prevalentemente dai propri interessi personali invece che dall’interesse pubblico. Per esempio affidare un bando a un’impresa di trasporti in cui si è soci invece che a quella migliore sul mercato, oppure svolgere consulenze retribuite per uno stato estero mentre si è senatori e si rappresenta il proprio Paese.

In Parlamento sono state presentate delle proposte di legge da parte del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico, ma sono arenate in Commissione Affari Costituzionali da mesi. Bisogna sbloccare l’iter e far arrivare in Aula una proposta unificata che contenga:

– chiare politiche di prevenzione, in grado di identificare tutti i potenziali conflitti di interessi personali o dei congiunti (ad esempio quote societarie, interessi finanziari, ruoli e incarichi professionali ricoperti). Gli enti e le istituzioni devono stilare una lista precisa dei rischi, mentre gli eletti, e i nominati devono dichiarare gli interessi privati che potrebbero entrare in conflitto con la loro attività pubblica, pubblicando online un’autodichiarazione verificabile da tutti.

– La definizione dei casi in cui il ministro, il membro del Parlamento, il consigliere regionale, l’assessore comunale si debba astenere da votazioni o dal partecipare a processi decisionali.

– Rimedi estremi per i casi più gravi: se gli interessi privati di un cittadino sono incompatibili con una funzione pubblica, a quel cittadino va impedito di rivestire un incarico pubblico. Vi sentireste a vostro agio se diventasse ministro dei Trasporti qualcuno che possiede quote di controllo di una compagnia di navigazione? Potrebbe sfavorire concorrenti scomodi e distorcere le buone pratiche del mercato.

– Vietare che parlamentari in carica possano ricevere compensi da Stati esteri o da enti finanziati da Paesi stranieri, regolando in maniera seria eventuali ospitalità, regali e favori. Il caso Renzi la dice lunga sulle conseguenze dell’assenza di regole chiare.

– Introdurre misure per frenare il fenomeno delle porte girevoli (revolving doors) in politica, come detto sopra.

Fermiamo la corruzione insieme

Dopo aver letto questo post ti senti impotente? Sbagliato, puoi aiutarci a portare la proposta di legge in Aula. Il prossimo mese ci recheremo a Roma per consegnare la raccolta firme in Parlamento. Firma la petizione per fermare i conflitti di interessi e falla firmare ai tuoi amici, parenti o conoscenti! Leggi il rapporto sulle porte girevoli e dicci che ne pensi: se vuoi puoi anche donare per aiutarci a sostenere questa battaglia!

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