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‘Il Carcere’, sette nuovi ingressi nel reality che piace ai giustizialisti nostrani: a cosa servirà?

‘Il Carcere’, sette nuovi ingressi nel reality che piace ai giustizialisti nostrani: a cosa servirà?
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Dopo il Collegio e la Caserma, scopriamo questo nuovo reality. Il Carcere appassiona gli italiani da sempre. Almeno da quando sono state vietate le goliardiche esecuzioni di piazza. Oggi, in tempi di Covid, quelle adunate attorno a decapitazioni, sventramenti e crocifissioni sarebbero contro qualsiasi normativa. Anche le igieniche ghigliottine francesi si adattano poco ai dpcm.

No. Non è più il tempo delle torture pubbliche. Troppa responsabilità. Poi va a finire come a piazzale Loreto con le polemiche che si trascinano per decenni. Per non parlare di quello messo in croce. Da quasi duemila anni ce lo ritroviamo dipinto e scolpito in mezzo mondo, appeso al collo e stampato sui santini.

Invece la galera è moderna, illuminista, borghese. Piace pure al Beccaria. La galera è democratica perché dà soddisfazione al popolo ingordo di giustizialismo, mostra i corpi dei malfattori sui giornali e in televisione per qualche giorno e poi li fa sparire per sempre. Li infila sotto il tappeto della Storia nel grande oblio nazionale che ci consola giustificando la nostra personale distrazione.

Qualcuno per gioco, per incoscienza o per noia li paragonerà ai nazifascisti scappati dopo la guerra. Dimenticando che quelli si nascosero, cambiarono nome e non si pentirono mai. E molti si vendettero al miglior offerente quando il nazifascismo si sposò con l’anticomunismo. Questi sette arruolati nel reality che appassionerà (un pochino) gli italiani rimasero sotto gli occhi di tutti, con facce e indirizzi noti, in un paese che gli chiese di cambiare vita, di non delinquere e lasciarsi alle spalle un capitolo chiuso.

Servirà a qualcosa carcerarli per un mucchio di anni? Tra le varie misure leggiamo anche di ergastoli conditi con “isolamento diurno”. E perché? Hanno segreti da confessare? Tranne qualche irriducibile complottista che cerca risvolti morbosi, noi sappiamo più o meno quello che c’è da sapere. Non ci resta che metterci seduti, inforcare gli occhiali e leggere la montagna di testi di storici, sociologi, testimoni che ormai hanno raccontato tutto e in tutte le maniere.

Mi viene in mente quel che diceva Sante Notarnicola e che ripeté qualche tempo fa in un incontro a Bologna al Vag61. “Non è un caso che della nostra storia si sa quasi tutto, delle stragi non si sa un cazzo di niente. E quando noi diciamo che le stragi sono di stato: quella è la risposta”.

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