Schiacciate tra due fuochi. A rischio di essere oggetto di un’azione di boicottaggio o di ritrovarsi con milioni di nuove tasse da pagare. È quanto sta succedendo ad alcune grandi aziende – in particolare Delta e Coca-Cola – che hanno preso posizione contro la nuova legge elettorale in Georgia; e che ora si trovano tirate dentro uno scontro politico di cui avrebbero, volentieri, fatto a meno. La loro storia mostra i rischi, ma anche i limiti, del cosiddetto “capitalismo responsabile”.

La legge della Georgia – Approvata dai repubblicani il 25 marzo, ha provocato polemiche vivaci. Essa riduce il numero delle urne collocate negli spazi pubblici (dove è possibile depositare il proprio voto prima della giornata elettorale). Ridotto anche il numero di giorni, da 49 a 29, entro i quali si può richiedere di votare per posta; regole più rigide vengono fissate per l’identificazione degli elettori “in assenza”. Dal testo finale sono sparite alcune delle norme più controverse: per esempio, la cancellazione del voto anticipato la domenica (la domenica è il giorno in cui, dopo la messa, molti afro-americani vanno a votare). Detto questo, la misura comunque riduce, e non allarga, il diritto di voto; e parte da una premessa non dimostrata, e cioè che lo scorso novembre ci siano stati vasti brogli elettorali.

Come detto, la legge ha provocato polemiche e un diffuso allarme. Non solo in Georgia. Nello scontro è intervenuto anche il presidente Joe Biden, che ha definito “disgustosa” la misura, paragonandola a quelle segregazioniste dell’era Jim Crow. Da mesi comunque democratici, gruppi afro-americani, attivisti per il diritto di voto protestavano e mostravano gli effetti che una legge di questo tipo potrà avere sulla partecipazione democratica. Proprio alcuni di questi attivisti lo scorso febbraio si sono rivolti all’ufficio affari pubblici di Delta, chiedendo di intervenire presso il governatore della Georgia, Brian Kemp, e presso i politici repubblicani dello Stato, per chiedere il ritiro, o almeno una parziale mitigazione, del provvedimento.

Il mirino su Delta – Non deve apparire strano il coinvolgimento della compagnia aerea nella vicenda. Delta ha il suo quartier generale ad Atlanta ed è la società che impiega più lavoratori in tutto lo Stato. Da quando, nel 2016, Ed Bastian è diventato chief executive, Delta ha preso alcune posizioni pubbliche importanti: sostiene i diritti Lgbtq e, dopo il massacro alla scuola di Parkland, Florida, ha messo fine alla partnership con la National Rifle Association (allora, i repubblicani dello Stato, per ritorsione, avevano cancellato 50 milioni di dollari in incentivi fiscali per l’azienda). È stato quindi piuttosto naturale guardare a Delta anche in questa occasione. Alle richieste di una presa di posizione pubblica, i dirigenti di Delta hanno però preferito un altro tipo di intervento: e cioè, un’azione privata di lobbying sui repubblicani dello Stato (molti di questi, godono di finanziamenti elettorali proprio di Delta).

Alla fine l’intervento ha, almeno in parte, avuto successo. La legge non è stata così estrema come inizialmente previsto. In questo ha sicuramente contato lo sdegno nazionale che il progetto ha sollevato, e il disagio dei repubblicani ad essere percepiti come nemici degli afro-americani. Ma l’opera di persuasione nascosta ma decisa da parte di Delta ha sicuramente contato. Sappiamo che lobbisti della compagnia aerea hanno contattato il leader repubblicano della Camera, David Ralston, e alcuni assistenti del governatore Kemp per eliminare dal progetto le norme più controverse. L’azione “dietro le quinte” ha anche permesso a Delta di non entrare direttamente in una contesa così delicata. Nonostante gli appelli a intervenire, Bastian è rimasto in silenzio; come lui, hanno fatto i dirigenti di altre importanti società con base in Georgia: Coca-Cola, Home Depot, UPS.

La reazione dei chief executive afro-americani – Tutto sembrava risolto quando è successo qualcosa di inaspettato. Dopo il passaggio della legge, e l’accusa di “segregazionismo” lanciata da Biden, diversi chief executive afro-americani si sono sentiti chiamati in causa. Il primo a muoversi è stato William M. Lewis Jr, chairman di Lazard, che ha contattato telefonicamente e via mail una serie di amici e colleghi neri. Alla domanda “che fare?”, la risposta è stata unanime. Produrre un documento in cui denunciare apertamente quanto successo in Georgia. Nel giro di poche ore l’appello era scritto e destinato a essere pubblicato sul “New York Times”, con in calce decine di firme importanti. Tra queste, Robert F. Smith di Vista Equity Partners, Raymond McGuire, ex Citigroup e ora candidato sindaco di New York, Richard Parsons, chief executive di Time Warner, Ursula Burns, ex CEO di Xerox, Ken Chenault, ex CEO di American Express. La legge della Georgia, scrivono i firmatari, “rende difficile esercitare il diritto di voto, soprattutto per gli elettori neri”. Al mondo degli affari e della finanza americano, i firmatari chiedono un intervento chiaro: “Perché in questo caso non c’è via di mezzo. O sei per far votare le persone, o sei per sopprimere il voto”.

La reazione di Delta e Coca-Cola – L’appello è stato un atto clamoroso. Mai, nel passato, così tanti uomini e donne d’affari afro-americani si sono raccolti attorno a un documento politico. La portata storica del gesto è stata subito chiara, così come subito molto chiaro è apparso il destinatario finale: proprio quel mondo imprenditoriale bianco che per troppo tempo è stato zitto. A quel mondo, businessmen e businesswomen neri hanno fatto notare un’ipocrisia intollerabile: parlare quando in gioco ci sono i diritti Lgbtq o quelli dei migranti; non dire nulla quando a essere conculcati sono i diritti dei neri. E qui rientra in scena Ed Bastian e Delta. Dopo giorni di pressioni, di discussione, di incertezza, Bastian si è trovato di fronte a una alternativa: continuare a restare in silenzio, rischiando però di essere accusato di collaborazione con i “segregazionisti”; o parlare, entrando però in una vicenda politica molto pericolosa. Chi ha visto Bastian in questi giorni lo descrive ansioso, preoccupato. Alla fine, pressato probabilmente anche da molti dei dipendenti di Delta (il 21 per cento sono afro-americani), Bastian si è messo al computer e ha scritto una lettera personale proprio ai dipendenti. “È necessario chiarire una cosa – scrive –. La legge finale è inaccettabile e non corrisponde ai valori di Delta”.

Sull’esempio di Bastian, poche ore dopo è intervenuto nella contesa anche James Quincey, chief executive di Coca-Cola, inglese che vive a Londra ma in contatto con William Lewis di Lazard. “Voglio essere chiaro. Coca-Cola non appoggia questa legge che rende più difficile, non più facile, votare”, ha scritto Quincey. Quello che i chief executive neri avevano chiesto si è quindi realizzato: alcuni, influenti, colleghi bianchi sono intervenuti in una vicenda di razzismo e discriminazione. Ma si è trattato anche di quello che i repubblicani, in Georgia e a Washington, non volevano sentire. Donald Trump ha immediatamente chiesto il boicottaggio per Delta e Coca-Cola (e anche per la Major League del Football, che in segno di protesta ha annullato un torneo, l’All-Star Game, che doveva tenersi ad Atlanta). Marco Rubio, senatore della Florida, ha lanciato una campagna social, #WokeCorporateHypocrites, in cui chiede alle grandi multinazionali di occuparsi della situazione degli uiguri in Cina e non pensare di ripulirsi la coscienza inventando assurde storie di segregazione. Diversi deputati repubblicani hanno chiesto che le lattine Coca-Cola vengano rimosse dai distributori della Legislatura di Atlanta e, soprattutto, hanno chiesto che a Delta vengano aumentate le tasse.

Una storia di politica, di diritti, di valori, una storia profondamente radicata nella coscienza collettiva americana, ha aperto quindi un capitolo nuovo nelle sorti del cosiddetto “capitalismo responsabile”. Delta e Coca-Cola devono reggere rabbia e boicottaggio dei repubblicani (è andata meglio a Home Depot e UPS, che ne sono rimasti fuori); se fossero rimasti in silenzio, è probabile che gli attivisti per i diritti civili avrebbero chiesto loro ragione, e li avrebbero boicottati. La radicalizzazione estrema della società americana non rende del resto più possibile la neutralità. Di fronte a certe questioni – tanto più quelle che riguardano i valori e l’inclusività – anche il mondo economico è chiamato a dichiararsi. La neutralità rischia di apparire codardia e ricerca esclusiva del proprio interesse. L’impegno, d’altro canto, precipita il mondo economico nello scontro politico. Il caso della Georgia non è comunque isolato. In Texas, i repubblicani stanno preparando un’altra legge elettorale restrittiva. Le aziende texane, American Airlines, Dell, AT&T, hanno già annunciato la loro opposizione. Un nuovo capitolo dello scontro sta per iniziare.

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