Finanziare una start-up nel nostro paese attraverso il classico sistema bancario? Meglio pensare ad un viaggio sulla luna. Ottenere un aiuto finanziario da parte del sistema bancario è una delle esperienze più difficili e logoranti per una attività in fase di avvio. Meglio pensare, mentre il sistema bancario tenta di rinnovarsi, ad altri canali dove qualcosa si muove.

Però dobbiamo dapprima chiarirci le idee su cosa sia una start-up. Perché si fa un po’ di confusione. Soprattutto tra start-up e scale-up.

Una startup è un’organizzazione di recente creazione con un progetto di business model e un potenziale tale da poter espandersi velocemente e che quindi, mira a diventare una grande impresa con un business model ripetibile. Non ha ancora ufficialmente avviato l’attività di impresa.

La scale-up rispetto ad una comune start-up non è altro che una società innovativa con un business model avanzato e un prodotto già affermato sul mercato. Si tratta in sostanza di una start-up che ha già attraversato tutte le fasi dello sviluppo e che può proiettarsi verso una crescita già sperimentata.

A supportare le imprese appena nate o nate da pochi mesi (start up) e quindi per definizione non quotate, sono invece i cosiddetti business angel. Sono manager o imprenditori che amano investire personalmente in progetti di nuovi business da soli oppure organizzati in network. In genere si tratta di investimenti da qualche decina di migliaia di euro per progetto e non superano i 100-150 mila euro). Spesso il business angel non investe soltanto capitali, ma anche il proprio tempo al progetto, che quindi in genere riguarda un settore che il business angel conosce bene, per esperienze lavorative presenti o passate.

Negli ultimi anni spesso in Italia i network di angeli hanno iniziato a investire nelle start up nelle cosiddette operazioni in seed al fianco dei fondi di venture capital che, di norma, entrano in una fase un poco più avanzata, quando esiste già un prodotto o un servizio sul mercato. In altri termini finanziano le scale-up.

I principali network di angeli italiani sono Italian Angels for Growth (IAG) e IBAN (Italian Business Angels Network). In questa fascia si collocano anche le piattaforme di equity crowdfunding, che raccolgono capitali tra investitori privati e non e di cui abbiamo parlato nelle scorse settimane.

Sempre nelle prime fasi di sviluppo delle start-up ci sono altri due soggetti che possono fare la differenza.

Si tratta degli incubatori e degli acceleratori d’impresa. In entrambi i casi si tratta di soggetti che supportano le startup offrendo loro una vasta gamma di servizi di supporto che includono spazi fisici, attività per lo sviluppo del business e opportunità di integrazione e networking. In genere, però, gli incubatori supportano i team che stanno per fondare una start-up, cioè non hanno ancora ufficialmente avviato un’impresa, o che sono in una fase molto precoce, mentre gli acceleratori affiancano solitamente start-up in una fase un poco più avanzata e che quindi possono affrontare un percorso di accelerazione e crescita attraverso uno specifico programma.

Una volta portato sul mercato il prodotto/servizio e dimostrato soprattutto che per quel prodotto o servizio un mercato esiste, ecco allora che gli interlocutori delle startup cambiano e più frequentemente diventano soggetti strutturati, cioè fondi di venture capital, che a loro volta possono comunque avere approcci di investimento diversi a seconda delle fasi del ciclo di vita delle start-up che vanno a prediligere e quindi a seconda delle dimensioni dei singoli investimenti che sono pronti a sostenere.

Tra gli operatori di venture capital si distinguono quindi quelli di “seed” capital, che cioè supportano le start-up nelle loro prime fasi di vita e quelli di “scale-up”, che supportano cioè le start-up che ormai hanno raggiunto dimensioni più grandi e hanno quindi bisogno di capitali più importanti per scalare di dimensione.

I fondi di venture capital seguono le stesse logiche dei fondi di private equity, con la differenza che gli investimenti sono molto più rischiosi, perché la mortalità delle aziende sulle quali i venture scommettono è molto elevata. Per contro, le aziende che invece hanno successo, hanno facilmente tassi di crescita esponenziali e quindi un rendimento molto elevato per gli investitori, che in questo modo si ripagano anche degli investimenti fallimentari.

Una delle principali preoccupazioni degli imprenditori del nostro paese, di fronte alla opportunità di capitalizzare la propria azienda, è quella di perdere il controllo della stessa e di diluire la propria quota di partecipazione fino ad essere, pian pianino, buttati fuori dalla compagine sociale attraverso successivi aumenti di capitale che l’imprenditore non potrà sostenere.

E’ un falso problema, un pregiudizio che bisogna chiarire perché rappresenta un grande freno per lo sviluppo della nostra imprenditoria.

I fondi di venture capital non comprano mai l’intero capitale delle start-up target, perché i fondatori delle start-up sono la vera ricchezza dell’azienda, essendo coloro che hanno avuto l’idea e hanno la visione di dove vogliono arrivare. Per preservare la governance, a fronte di investimenti di capitale importanti rispetto al valore attuale della start-up, spesso alle quote o azioni dei fondatori vengono assegnati diritti di voto plurimo. I fondi di venture, però, hanno le stesse logiche dei fondi di private equity anche nell’approccio alla cosiddetta exit, cioè al momento del disinvestimento: un fondo ha sempre una durata limitata di vita e in quella vita deve poter disinvestire e portare a casa un guadagno.

Certo, più un fondo è in grado di seguire l’investimento di venture capital di successo e più evidentemente può guadagnare dall’aumento di valore esponenziale dell’investimento. I fondi di venture italiani sono ancora di dimensioni piccole rispetto ai principali fondi europei o del resto del mondo, ma alcuni campioni si stanno distinguendo e si stanno dimostrando in grado di seguire le proprie partecipate in round successivi, coinvolgendo anche grandi fondi internazionali, a dimostrare che il mercato sta davvero prendendo una sua consistenza.

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