Quando Enrico Letta ha rilanciato la questione del voto ai sedicenni come proposta fondante del futuro Partito Democratico, ho provato un certo sollievo. Perché l’idea era nata tempo fa, se ne era discusso, salvo poi finire nel dimenticatoio insieme alle proposte di legge ad essa legate. Quella del voto ai sedicenni mi sembra un’idea talmente giusta che ero convinta fosse del tutto condivisa. E invece neanche per nulla: leggo voci di donne come Michela Marzano, su La Stampa, curiosamente contraria ma leggo anche qui quella di Alex Corlazzoli, che oltre a scrivere insegna.

Mi chiedo: come mai tanta resistenza? Come mai, soprattutto, tanta sfiducia? Che immagine abbiamo dei nostri sedicenni, persone che, per chi ha avuto modo di frequentarle, sviluppano idee (ed emozioni) spesso così profonde e giuste da lasciare veramente stupiti? Vista la precocità con cui accedono a contenuti di ogni tipo, ma anche il fatto che i genitori li stimolano e coinvolgono in esperienze sempre più precocemente, sono ben diversi dai sedicenni di decenni fa. Forse quello che manca loro è proprio la possibilità di potersi esprimere da adulti, smettendo di essere trattati perennemente come dei minori da proteggere e circoscrivere.

Ma non è questo solo il punto. Qui si tratta di riequilibrare anche una macroscopica ingiustizia che tocca non solo i giovani, ma anche le donne e, insieme a loro, gli immigrati. C’è infatti un problema tanto drammatico quanto ignorato di rappresentanza di questa parte (maggioritaria) della popolazione, se è vero che a governarci sono in stragrande maggioranza (vedi anche il nuovo Comitato tecnico scientifico formato da Mario Draghi) maschi bianchi non giovani, anzi spesso anziani. Sono dappertutto. Sono nei posti chiave. Sono la maggioranza in Parlamento e Senato.

E qui sta il problema: perché se chi ci governa e fa le leggi è un maschio anziano probabilmente farà leggi che non rispondono alle esigenze profonde dei giovani, delle donne, degli immigrati. Lo abbiamo visto in questi mesi di pandemia anche quando, durante il primo lockdown, il governo dimenticò di specificare cosa potessero fare le famiglie con bambini piccoli, come se non esistessero. Lo abbiamo visto in questo lungo anno in cui i sedicenni sono stati tenuti a casa, ritenuti colpevoli del contagio, con buona pace delle loro esigenze primarie e delle loro sofferenze, che oggi sono arrivate a livelli insostenibili.

Per svecchiare un paese vecchio è del tutto inutile aspettarsi leggi per i giovani da uomini anziani. L’unico modo è dare la possibilità ai giovani di votare e di farlo prima dei 18 anni (e dei 25 per il Senato!) ricordando che l’età per l’elettorato passivo e attivo è del tutto anacronistica – infatti fu decisa dai padri costituenti. Molti sociologi, tra cui Alessandro Rosina, sono favorevoli a questa anticipazione, che sarebbe fondamentale perché i giovani tendono a premiare chi è più capace di parlare dei loro problemi, chi non fa vaghi e stanchi riferimenti al “futuro dei nostri figli” salvo non fare nulla, ma chi propone concretamente idee – su formazione, lavoro, lotta alla disoccupazione, ambiente – per un presente a loro misura.

Non solo: i sedicenni tendono a votare maggiormente partiti e movimenti che sono a favore del cambiamento invece che della conservazione (e questo è un bene visto che lo status quo è drammatico). E infine, tendono a votare massicciamente partiti e movimenti che si occupino seriamente della questione ecologica e della lotta al cambiamento climatico, che hanno molto presente perché per loro significa la possibilità di avere un’esistenza possibile o meno. Non una cosa di poco conto.

L’altra domanda è: perché allora il Parlamento non vota rapidamente questa proposta che torna ciclicamente? Semplice. Perché chi oggi occupa le poltrone non solo non sa parlare ai giovani, caso mai li teme: primo perché non li conosce, secondo perché preferisce puntare sull’elettorato moderato e anziano. Un errore, perché questo rappresenta una parte relativa del paese e non necessariamente la più vitale. Se potessero, anzi, i nostri politici probabilmente l’alzerebbero pure, l’età attuale. Perché, ripeto, i giovani non li conoscono proprio. Letteralmente, non sanno nulla di loro. Sarebbe ora che uscissero dai palazzi per andare a capire chi sono. E non mi si dica che un sedicenne non è maturo o che è deficitario di riflessione, perché a parlarci con questi ragazzi si scopre che non solo hanno passioni precise ma fanno ragionamenti spesso molto più sensati, anche se attraversati da scetticismo e amarezza (e come potrebbe essere altrimenti) di tanti deputati, magari pure senza laurea o diploma, che siedono in Senato o alla Camera.

Insomma, almeno il voto attivo andrebbe certamente anticipato. E visto che ci siamo, lancio nuovamente un’altra proposta che feci poco tempo fa. Personalmente, anticiperei la possibilità per i sedicenni di prendere la patente. Immagino immediatamente la levata di scudi di chi pensa che questo porterebbe una scia di incidenti e morti, visto che i ragazzi di oggi si sballano e stanno sempre al cellulare. Onestamente penso che questo riguardi alcuni e non tutti, proprio come d’altronde riguarda anche molti adulti. Dunque il problema sta nei controlli, non nell’età. Le macchine di oggi, tra l’altro, sono molto diverse da quelle di qualche anno fa, sono completamente automatizzate, facilissime da usare. Dare la patente a un sedicenne significa alleggerire la famiglia, che al tempo stesso ha una persona in più che può essere utile per gli accompagnamenti di nonni e genitori, sempre più anziani, fragili e affaticati.

Che sia la macchina o il voto, la cosa importante è responsabilizzare i più giovani, e questo non si fa con vaghi discorsi ma riconoscendoli come adulti, con i loro diritti e le loro responsabilità. Sono sicura al cento per cento che questo porterebbe solo vantaggi. Cosa aspettiamo a farlo?

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