In un recente articolo, Il Sole 24 Ore denuncia l’enorme arretrato di lavoro che grava sulla nuova Commissione di Valutazione di Incidenza Ambientale (Via) del Ministero dell’Ambiente, presieduta da Massimo Atelli e insediatasi a maggio del 2020: 640 progetti di cui 223 dossier ereditati dalla precedente commissione. Dal suo insediamento sono stati valutati fino al 31 dicembre 192 progetti, ma solo per 50 è stato approvato un pronunciamento finale. “Per gli altri si è trattato di un rinvio o di un passaggio ancora intermedio. – scrive Giorgio Santelli nel suo articolo – A fine anno c’erano quindi ancora da valutare 644 dossier. Un arretrato enorme”.

Come spiega Massimo Atelli, sempre sulle pagine de Il Sole 24 Ore, solo recentemente la Commissione è stata dotata del “supporto tecnico-istruttorio esterno di qualificato personale in numero adeguato” e questo può aver causato dei rallentamenti. Ma il vero problema, sollevato non solo dal nuovo Presidente della Commissione ma anche dagli ambientalisti, riguarda la qualità dei progetti presentati e il fatto che venga consentito a dossier gravemente carenti di andare avanti nel procedimento di Via, quando invece dovrebbero essere rigettati immediatamente, senza impegnare per anni il Ministero, i cittadini, gli Enti Locali e le organizzazioni.

La verità è che il Ministero dell’Ambiente tratta allo stesso modo progetti buoni e meno buoni. Un vero peccato, perché se la Commissione di Via selezionasse i progetti, senza indugiare in approvazioni con prescrizioni spesso irrealistiche (sorta di “accanimento terapeutico” su progetti irrimediabilmente sbagliati) i procedimenti autorizzativi risulterebbero snelli ed efficaci e si otterrebbe un benefico stimolo meritocratico che aiuterebbe il Paese ad uscire dalla trappola del sottosviluppo. Se così stanno le cose, Italia Nostra concorda sulla necessità di maggiore trasparenza nelle decisioni della Commissione – oggi non deve neanche presentare una relazione annuale al Parlamento – ma dissente fortemente sulle “semplificazioni” perché non si capisce come queste possano produrre migliore qualità progettuale.

Anche la Commissione Europea nel 2015 scriveva: “Studi molto carenti non dovrebbero essere ‘riscritti’ dall’Ente Valutatore o essere approvati con un eccessivo numero di prescrizioni, ma dovrebbero essere considerati irricevibili o determinare una Valutazione negativa”. Nel nostro Paese, l’Ente Valutatore, lungi dal mantenere la necessaria terzietà, si pone a servizio dei proponenti riscrivendo i progetti sbagliati. Lo stesso Atelli ammette che solo il 10% dei procedimenti viene rigettato mentre il restante 90% dei pareri sono spesso concepiti in modo tale da valutare gli impatti solo successivamente, attraverso studi che sfuggono al confronto pubblico.

“Per non parlare del fatto che incredibilmente esistono provvedimenti di Via ‘highlander’, senza scadenza, – racconta Augusto De Sanctis del Forum dell’Acqua – emanati anche dieci anni or sono, magari su procedimenti avviati quasi venti anni fa in un contesto sociale, ambientale ed economico totalmente diverso”.

Questa mancanza di governance e rigore produce, per esempio, il caotico sviluppo delle energie rinnovabili che è davanti agli occhi di tutti e che causa tanti problemi quando poi impattano sui territori. Non esiste infatti un contesto di pianificazione adeguato a mitigarne gli impatti, si procede per singolo progetto, senza alcun quadro d’insieme, di fatto annullando la possibilità di valutare adeguatamente l’effetto cumulativo che già si sta manifestando in diverse aree del Paese.

Italia Nostra, con altre associazioni ambientaliste (Altura, Amici della Terra, Assotuscania, CNP, Comitato per la bellezza, ENPA, Lipu, Marevivo, Mountain Wilderness, Movimento Azzurro, Pro Natura e Wilderness Italia) ha inviato un appello al Presidente del Consiglio, Mario Draghi e al Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, chiedendo che gli obiettivi che il Green Deal europeo si prefigge – combattere il riscaldamento globale di origine antropica, conservare la biodiversità, usare saggiamente le risorse naturali e il territorio – siano attuati coinvolgendo tutti gli stakeholders, anche le associazioni ambientaliste, definendo una cornice entro cui realizzare la transizione energetica e ambientale in modo equo e realmente sostenibile.

Le energie rinnovabili sono considerate dal Green Deal europeo come strumento di primo piano per affrontare la questione climatica e dare dunque risposta ad una parte degli obiettivi del programma. Nondimeno, le politiche ampiamente deregolamentate poste in essere in questi anni hanno determinato un forte impatto negativo sul territorio nazionale, in termini di consumo di suolo agricolo, gravissimi danni paesaggistici, incidenza sugli habitat naturali e la biodiversità, con il coinvolgimento di ampie aree del nostro Paese, il cui paesaggio è valore costituzionalmente protetto e le cui ricchezze naturali sono annoverate tra le più importanti in assoluto.

Alle ingenti risorse a disposizione del Green Deal si aggiungerà presto l’ulteriore sostegno finanziario del Next Generation EU per gli investimenti nel settore della green economy. Ora, il combinato disposto di queste due misure, se lasciato senza governo e slegato da rigorose limitazioni, rischia di rispondere al problema climatico ed energetico penalizzando gravemente i preziosi valori del paesaggio e della natura, cui corrispondono interessi vitali anche per il turismo nazionale e l’economia delle aree interne.

L’urgenza del momento, la grandezza delle sfide che ci attendono chiamano tutti, governi e associazioni, politica e società civile, scienza ed imprese, ad una più piena assunzione di responsabilità e a un necessario salto di livello nella gestione della materia. Per tutte queste ragioni, le associazioni chiedono di istituire un tavolo tecnico di concertazione nazionale, per mezzo delle amministrazioni e degli uffici tecnici di competenza, che finalmente definisca i termini della pianificazione degli impianti di energia rinnovabile secondo standard di piena sostenibilità.

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