La casella che da due giorni si ipotizzava per lui era un’altra: il nuovo ministero della Transizione ecologica chiesto e ottenuto da Beppe Grillo. Invece Enrico Giovannini entra nel governo Draghi per guidare il dicastero delle Infrastrutture, tema laterale rispetto a quelli di cui si è occupato durante la carriera tra l’Istat, l’Ocse, il ministero del Lavoro, la cattedra di Statistica economica a Tor Vergata e l’Associazione italiana per lo sviluppo sostenibile, galassia di associazioni e reti che ha contribuito a fondare e di cui è portavoce dal 2016. Un ruolo, il suo, evidentemente “di garanzia” per la gestione in un’ottica di sostenibilità – come del resto chiede la Commissione – dei fondi del Next generation Eu destinati a strade, ferrovie, porti e logistica, rigenerazione urbana. Ma dal ministero di Porta Pia dovrà occuparsi anche delle patate bollenti Alitalia, Autostrade e trasporto pubblico locale nell’era del Covid.

Che “il pil non basta” e per misurare il progresso di una società servono altri indicatori Giovannini lo dice da una quindicina d’anni. Nel 2013 quell’idea è diventata realtà con la pubblicazione del primo rapporto Istat sul benessere equo e sostenibile: una miniera di dati su ambiente, salute, patrimonio culturale, relazioni sociali, ricerca, qualità dei servizi. E ora anche la proposta fatta nel 2018 in Utopia sostenibile (Laterza) si concretizza: il nuovo governo avrà un ministero per la Transizione ecologica. Ma a guidarlo è stato chiamato il fisico Roberto Cingolani. Il portavoce dell’Asvis va appunto ad occuparsi di Infrastrutture e trasporti. Una sorpresa anche se è stata proprio l’Asvis a chiedere e ottenere dal governo Conte 2 che il Cipe, responsabile di dare via libera a ogni nuovo progetto infrastrutturale, cambiasse nome in Comitato interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile.

Questione di forma ma anche di sostanza, visto che in base alle linee guida di Bruxelles nessun investimento o riforma da finanziare con il Recovery deve danneggiare gli obiettivi ambientali fissati dalla Ue, ovvero una riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050. La filosofia di fondo l’ha spiegata lo stesso Giovannini una settimana fa in un’intervista al fattoquotidiano.it: “Non possiamo mettere 80 miliardi sulla transizione ecologica e poi avere nel bilancio dello Stato 19 miliardi l’anno di Sussidi dannosi per l’ambiente“. E, se la stessa polare è rivedere l’intero modello di crescita, un’altra proposta di Giovannini potrebbe rivelarsi utile: la creazione di “una struttura dedicata alla programmazione strategica che supporti la presidenza del Consiglio”. Per far sì che ogni scelta e ogni investimento siano inseriti in una prospettiva – quale futuro si immagina per l’Italia che uscirà dalla crisi Covid – e tengano conto delle interdipendenze tra fattori economici, ambientali e sociali.

La competenza di Giovannini nel campo dello sviluppo sostenibile si fonda sulla conoscenza dei numeri. Dopo aver iniziato la carriera al dipartimento ricerca dell’Istat e aver fatto parte del comitato strategico del Tesoro sull’introduzione dell’euro, dal 1993 al 1996 ha diretto il dipartimento di contabilità nazionale e analisi economica dell’istituto per poi guidare la grande direzione centrale delle statistiche su istituzioni e imprese. Nel 2001 è stato chiamato a Parigi come chief statistician dell’Ocse, per poi rientrare in Italia nel 2009 a prendere le redini dell’Istat. E’ durante gli anni all’Ocse che ha riflettuto sull’idea che il prodotto interno lordo non basta per valutare il benessere di un Paese. Il risultato è stato il progetto globale su come misurare “il progresso delle società”, dal quale è nato il movimento mondiale per andare “oltre il pil”. Di lì gli indicatori del Bes, l’Asvis che ogni anno misura lo stato di avanzamento del Paese rispetto all’attuazione dell’Agenda 2030 dell’Onu, l’idea dello sviluppo sostenibile in Costituzione caldeggiata ora anche da Beppe Grillo.

Un passo indietro: nel 2013 Enrico Letta, arrivato a Palazzo Chigi dopo l’austerità dei tecnici di Monti, ha voluto Giovannini al ministero del Lavoro. Nei 300 giorni di vita di quell’esecutivo l’economista ha messo in campo la prima misura nazionale di contrasto alla povertà (il Sostegno per l’inclusione attiva) che puntava a trasformare in un vero reddito minimo. In quel momento non c’erano le coperture e quando il governo è caduto con il “colpo” di Renzi quel progetto è rimasto per incompiuto. Oggi, per Giovannini, un sostegno a chi si trova in difficoltà come il reddito di cittadinanza è indispensabile e va semmai potenziato per raggiungere anche quanti restano esclusi a causa di paletti troppo restrittivi. In parallelo realizzato il progetto di una banca dati nazionale dei disoccupati, messo a punto già nel 2013 ma rimasto sulla carta. Uno dei – tanti – dossier urgenti sul tavolo di Draghi. A cui Giovannini potrebbe dare anche un contributo sul fronte della lotta al sommerso, visto che da oltre un decennio presiede la commissione che prepara la Relazione annuale sull’evasione.

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