Se Mario Draghi riuscirà nell’impresa di varare un Governo, diventerà ancora più urgente rafforzare gli strumenti di partecipazione democratica. Draghi può caricarsi sulle spalle il fallimento di una classe dirigente, non di un sistema istituzionale. Le “energie migliori” del Paese non si mobilitano solo scegliendo bene i nomi dei Ministri, ma anche attivando gli strumenti attraverso i quali i cittadini partecipano alla vita della repubblica tra un’elezione e l’altra.

L’accentramento del potere decisionale nelle mani di un Presidente del Consiglio sufficientemente autorevole da resistere alle pressioni dei partiti è alla base del conferimento del mandato da parte di Mattarella. Il Presidente della Repubblica confida nella capacità di Draghi di affrontare l’emergenza pandemica e far ripartire il Paese usando al meglio i fondi europei e tenendo la conflittualità politica sotto la soglia di guardia.

Draghi ha l’esperienza sufficiente per affrontare il compito senza che i partiti si sentano commissariati, come dimostra in queste ore l’allargamento dei consensi da parte delle forze parlamentari. Sarebbe però sbagliato ritenere che il sostegno da parte di partiti sempre meno rappresentativi sia sufficiente a rimettere in moto il Paese e a guarire un sistema istituzionale malato. L’autorevolezza di una sola persona e della sua squadra di Governo non risolve magicamente problemi che affondano le radici nella storia italiana, fatta di poteri autoreferenziali che spesso agiscono in violazione della lettera della Costituzione e della legge, come dimostrano decenni di esiti referendari calpestati o di condanne alla Corte europea dei diritti umani per il collasso del sistema giustizia.

In democrazia, le “energie migliori” necessarie per perseguire l’interesse generale non possono ridursi alle qualità personali di chi ricopre le massime cariche istituzionali, ma devono implicare il coinvolgimento di cittadini adeguatamente informati in ogni fase del processo decisionale. A maggior ragione quando la motivazione esplicita per escludere il ricorso alla urne da parte del Presidente della Repubblica è il rischio epidemiologico, diventa indispensabile investire per rafforzare altre forme di partecipazione diverse dal voto.

Democrazia non vuol dire solo “elezioni”, come ci ricorda l’art. 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti” (da notare che la partecipazione diretta è menzionata prima ancora di quella elettorale).

L’anno scorso l’Italia è stata condannata proprio dal Comitato diritti umani dell’Onu per violazione dei diritti civili e politici sulla base della denuncia – a firma Mario Staderini e Michele De Lucia – del carattere discriminatorio delle regole per la raccolta firme, che ostacolano l’iniziativa di gruppi di cittadini non già collegati al sistema di potere. La condanna è stata ignorata dalla politica italiana.

La frettolosa conversione al “lavoro e didattica a distanza”, imposta dalla pandemia, non ha portato il Governo a prendere alcuna misura per consentire che anche la sottoscrizione di proposte referendarie e legislative di iniziativa popolare fosse effettuabile “a distanza”, come invece accade a livello di Ue con le Ice (Iniziative dei Cittadini Europei). In legge di bilancio è stato preso un impegno per il 2022 (su iniziativa di Associazione Luca Coscioni, Eumans e Politici per caso) e dovremo batterci per farlo rispettare.

Il Governo Conte è caduto sul Piano nazionale di resistenza e resilienza a causa del tentativo di tagliare fuori le forze politiche dalla gestione dei fondi, al quale Renzi ha reagito con durezza. Nessuno però ha sollevato la questione del coinvolgimento dei cittadini, anche in modalità innovative come ha fatto Macron con assemblee di cittadini estratti a sorte sull’emergenza climatica, e come si fa da anni con successo in Paesi come l’Irlanda, il Canada, l’Olanda.

Quando la democrazia è bloccata, lo Stato fallisce nel dare risposte a esigenze molto concrete. Le coalizioni di partiti che hanno sostenuto sia il Conte I che il Conte II si sono guardate bene dall’affrontare i temi spinosi riguardanti diritti individuali e libertà civili. Il terrore nell’aprire ogni discussione su questioni come l’eutanasia, le droghe, la gestazione per altri, il matrimonio egualitario, la prostituzione era dovuto al loro carattere trasversalmente divisivo nei partiti e nelle coalizioni.

Nel Governo presieduto da Mario Draghi si porrà lo stesso (falso) dilemma: mettere a rischio l’esecutivo su obiettivi estranei alle motivazioni per le quali il governo è nato, oppure continuare a trascurare problemi sociali da troppo tempo irrisolti? L’alternativa sia all’instabilità che all’immobilismo esiste e va cercata nelle divisioni di poteri e ruoli istituzionali all’interno di una democrazia liberale, in particolare lavorando per la centralità del Parlamento e degli strumenti di iniziativa popolare.

Il nuovo esecutivo nascerebbe più forte se fosse esplicitamente sgravato del compito di trovare compromessi sui temi delle libertà civili, liberando finalmente il dibattito in un Parlamento finora ostaggio della decretazione d’urgenza e dell’agenda dettata dal Governo. Alcuni di questi temi –eutanasia e cannabis, ma anche immigrazione e giustizia- sono già oggetto di leggi di iniziativa popolare da molti anni in attesa di essere discusse. Se è vero che “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi” (art 71 della costituzione), allora è il momento di fare del Parlamento l’interlocutore naturale di tale iniziativa e di potenziarne la portata, rimettendo i cittadini nelle condizioni da un lato di abrogare attraverso referendum leggi non più in sintonia con la società, dall’altro di elaborare proposte nuove in contesti civici che non siano ostaggio delle dinamiche elettorali.

Proprio nel momento in cui le competenze tecniche e l’esperienza politica internazionale diventano una caratteristica riconosciuta come indispensabile per governare una situazione tanto difficile, è necessario investire risorse e riforme per mettere i cittadini al centro del dibattito pubblico.

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