L’industria farmaceutica scaricava nel rio Coste, il rio Coste scaricava nell’Adige e il fiume trasportava dal Trentino al Veneto i residui della lavorazione degli antibiotici. È questa la presunta catena di inquinamento interrotta per iniziativa della Procura della Repubblica di Rovereto, dei carabinieri del Noe di Trento e gli ispettori dell’Appa, l’agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente. Il gip Consuelo Pasquali ha emesso un decreto di sequestro preventivo nei confronti dell’impianto farmaceutico della multinazionale Suanfarma, di cui sono ora indagati tre alti dirigenti. Si tratta del presidente Daniel Rivero, 42 anni, spagnolo, di Gian Nicola Berti, 50 anni, ravennate, rappresentante legale della società, e di Carmine Parletta, 43 anni, avellinese, responsabile per le questioni ambientali. La cronaca si era già occupata in passato dello stabilimento a causa di anomalie e segnalazioni riguardanti le colorazioni del rio Coste, nonché le emissioni nauseabonde e la presenza nelle acque di fanghi. Alcuni anni fa i tecnici dell’Arpa avevano installato una centralina di monitoraggio, ma le analisi dei prelievi reflui risultavano sempre conformi ai limiti di legge.

Di recente l’inchiesta condotta dai pm Aldo Celentano e Viviana Del Tedesco ha subito un’accelerazione, grazie all’uso di apparecchiature sofisticate. Ad esempio, sistemi di rilevamento installati su elicotteri della Guardia Costiera di Sarzana, una tecnologia impiegata per monitorare gli inquinamenti in acque libere, che ha permesso ad avviso degli inquirenti di accertare la persistenza degli inquinanti nell’Adige e l’utilizzo abusivo di acque di falda per diluire la concentrazione dei contaminati, poi rilasciati nel rio Coste. Il sequestro (che non pregiudica la continuità produttiva) ha riguardato i pozzi da cui l’azienda attingeva l’acqua per la diluizione e l’autocampionatore che si sospetta modificato per eludere l’attività di vigilanza.

Le ipotesi di reato riguardano non solo l’inquinamento ambientale, ma anche l’impedimento al controllo. L’inquinamento riguardava la presenza non solo di azoto nitroso, azoto nitrico, azoto totale e tensioattivi in concentrazioni superiori ai limiti autorizzati, ma anche di molecole solubili in acqua non facilmente biodegradabili provenienti dalla degradazione dell’acido clavulanico prodotto nello stabilimento come sale di potassio, principio attivo di un antibiotico. Nel capo di accusa si fa riferimento al colore giallastro delle acque, soprattutto alla confluenza con l’Adige, e ai forti odori. I primi controlli risalgono al giugno 2019, quando e le acque del rio Coste apparivano particolarmente torbide, ma controlli e campionamenti non mostravano anomalie. Secondo il gip vi fu “una voluta abusiva diluizione delle acque reflue”, a cui si aggiunge il rischio di danneggiamento dell’ambiente. Siccome si tratterebbe di comportamenti “non occasionali” ecco scattare il rischio di danni alla salute pubblica. I sigilli ad alcuni pozzi sono tate ritenute le misure idonee per far cessare l’inquinamento, garantendo anche la continuità aziendale.

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