di Monica Valendino

Non è ancora nato, ma il nuovo governo targato Mario Draghi è già stato battezzato. Dal Presidente Sergio Mattarella “di alto profilo “, da B. e la sua band “dei migliori”. Mamma e papà sono quindi quasi d’accordo. E tutti, o quasi, a plaudire il neonato banchiere che ha pure la benedizione non detta, ma velata, del Vaticano. Francesco a luglio volle l’ex presidente della Bce nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, organismo consultivo per lo sviluppo della dottrina sociale della Santa Sede. Il legame con i gesuiti, dove Draghi ha studiato, è stato fondamentale anche se a prima vista le idee del Papa fin qui esternate sembrano stridere con quelle in stile Friedman che Draghi per molto tempo ha portato avanti prima di “convertirsi” per necessità a una veduta più keynesiana della politica monetaria europea.

Fatto sta che sta nascendo un ibrido, e attenzione al nome che – come i latini dicevano – ha scritto dentro il suo destino. Sì, perché in quel “governo dei migliori” si legge il greco “aristos” ovvero “aristocrazia”. Messi da parte da secoli parrucconi grigi e titoli nobiliari, oggi l’aristocrazia pretende il potere attraverso i suoi uomini che sappiano portare avanti la solita politica di cui è capace, la Restaurazione. Ovvero far credere al popolo che si lavora per esso, che gli si concede qualcosa con la mano destra, per poi prendere il doppio con la sinistra mentre le antiche dinastie regnanti e i privilegi del clero e della nobiltà si riprendevano il maltolto da parte di Napoleone.

Una aristocrazia al potere, che come spesso avviene nasce anche con l’incapacità di saper dire di no a un esecutivo che prende forma solo ed esclusivamente grazie alle trame degli sfasciacarrozze più quotati della storia. Incapacità di dire no a un banchiere al comando anche dalle parti sociali, che pur di guadagnare o salvare nell’immediato qualche posto di lavoro arrivano a patti che ne possono fanno perdere migliaia in futuro, magari grazie a nuove liberalizzazioni come quelle già perpetuate con il Jobs act del rottamatore di Rignano, che non ha mai trovato opposizioni decise e in nome di chissà quale vantaggio sociale.

La verità per me è che questo governo aristocratico prende forma perché i 200 e rotti miliardi che l’Europa in parte presterà (sia chiaro, non li regala) fanno gola alle varie confederazioni appoggiate dai loro vassalli mediatici.

Purtroppo in mezzo a questo disegno ben architettato, c’è di mezzo il dramma sanitario e sociale che il Covid ha messo in faccia a tutti. E al quale serve far fronte, per questo si va verso un imbuto. E per questo i partiti di maggioranza che finora hanno fallito per egoismi e frizioni interne (Movimento, Pd, LeU) devono prendere posizione. Con un programma unitario e forte da riproporre a Draghi, che non sperperi le politiche sociali fin qui attuate, ma che vanno migliorate o potenziate (reddito di cittadinanza, blocco dei licenziamenti, investimenti nel rinnovamento ambientale e non nelle infrastrutture inutili).

Poi stop a quota 100, che favorisce solo i professionisti e non di certo gli operai, nuova visione sul sistema pensionistico e altre iniziative che non sperperino il patrimonio faticosamente costruito con il Conte Bis. Solo così si metterà Renzi alle corde, si impedirà a Giorgetti e B. di dettare le regole e a Draghi di fare il capo supremo, alla faccia di chi accusava Conte di volere i pieni poteri.

L’aristocrazia che vorrebbe prendere forma si può arginare, ma serve unità e finalmente un programma comune e a lunga durata. Di Maio, Zingaretti, Grasso, Crimi, Orlando e compagnia ne saranno capaci?

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