Deriso costantemente da chi lo doveva sostenere e accompagnare nel percorso scolastico e di formazione personale. E’ l’accusa che la Procura di Roma muove a un insegnante di un liceo di Roma, indagato per istigazione al suicidio di un ragazzo di 17 anni avvenuto due anni fa. Le indagini sono state lunghe perché solo dopo qualche tempo alcuni compagni di scuola hanno deciso di parlare e raccontare cosa accadeva in classe, almeno stando agli atti dell’inchiesta. Hanno parlato di umiliazioni, maltrattamenti verbali, prese in giro sul profitto dello studente. Episodi che avrebbero messo a dura prova il ragazzino, ne avrebbero scosso l’equilibrio emotivo, avrebbero ulteriormente infragilito la fiducia in se stesso dello studente.

Una situazione che, nell’ipotesi dei pm di Roma, hanno portato il ragazzino a togliersi la vita nel luglio 2019. Dopo un anno scolastico pesante, racconta agli amici il suo disagio e fa anche un vago riferimento a gesti estremi, parole di un ragazzino a cui gli amici danno poco peso. Ma un giorno di luglio il 17enne va in garage e con una corda si impicca. I genitori sono scioccati. La Procura non archivia il fascicolo. Poi parlano i compagni di classe e viene allo scoperto l’inferno vissuto dal ragazzino durante l’anno scolastico 2018-2019. Ora il professore è indagato e il pm Stefano Pizza potrebbe decidere di ascoltare il docente.

Sono stati invece assolti definitivamente i genitori di Rosita Raffoni, la ragazza di 16 anni che il 17 giugno 2014 si uccise lanciandosi dal tetto della sua scuola a Forlì. Erano stati condannati in primo grado a tre anni e quattro mesi per maltrattamenti, poi assolti in appello. La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Bologna. Prima di uccidersi, la ragazza lasciò in video e in lettera pesantissime accuse ai genitori, dicendo di sentirsi odiata.

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