La gestione dell’epidemia di Covid-19 in corso è complessa e mentre le stime del rischio sanitario sono abbastanza attendibili, quelle dei costi connessi con le misure di contenimento sono al momento incerte. Purtroppo la stampa in Italia ha fornito informazioni largamente incomplete, anche perché alcuni rapporti erano stati secretati dal governo, e per valutare questi aspetti occorre riferirsi ad agenzie che scrivono in inglese.

In linea di massima la mortalità stimata per l’epidemia, in assenza di misure di contenimento, si attesta sullo 0,5% (si consideri come riferimento che la mortalità complessiva usuale nella popolazione dei paesi avanzati è di poco superiore all’1% all’anno). Le misure di contenimento possono abbassare questo tasso di mortalità probabilmente fino allo 0,15-0,2%, al prezzo però di prolungare la durata dell’epidemia. I costi economici dell’epidemia sono elevati, tanto in termini di mancato guadagno quanto di spese sanitarie, e le misure di contenimento li aumentano notevolmente sia per il loro costo intrinseco, sia perché aumentano la durata dell’epidemia che, nonostante la disponibilità del vaccino, difficilmente finirà prima di un anno ancora. In questo post presenterò le analisi di alcuni costi di queste misure, tratte dalla stampa internazionale.

Ci sono due punti preliminari da considerare:

1) Il bilancio dei danni sanitari direttamente causati dell’epidemia si basa non tanto sui decessi quanto sul calcolo degli anni di vita persi: ad esempio si può stimare che una persona che muore di Covid-19 a 80 anni abbia perduto circa 7 anni di vita; ovviamente l’epidemia costa milioni di anni di vita.

2) Un anno di vita ha un costo: per il cibo e le altre spese vive, ma anche per la salute (medicine, interventi sanitari, etc); quindi anche un danno o costo economico, se ingente, può essere misurato in anni di vita persi. E’ ingenuo pensare di separare il danno economico da quello alla salute, come è ingenuo pensare che si possa ovviare ai costi con prestiti internazionali o stampando moneta: non si può comprare ciò che non è stato prodotto o reso disponibile e quindi la diminuzione della produzione o del trasporto di beni di prima necessità non è rimediabile con strumenti finanziari. Molte stime indicano che il recupero del danno economico potrebbe richiedere fino a dieci anni, nei quali evidentemente sarà necessario operare risparmi sulla spesa pubblica e sui servizi, inclusa la sanità.

Il primo allarme lanciato dall’Onu riguarda la fame nel mondo: “Se la crisi sanitaria diventa una crisi economica, il calo di fondi e i problemi di trasporto possono causare milioni di decessi per fame“. Ovviamente risultano massimamente a rischio i paesi meno avanzati e i teatri di guerra, nei quali l’approvvigionamento alimentare era precario anche prima della pandemia. E’ importante considerare anche che le necessità alimentari sono tra quelle che impediscono i lockdown completi: di fatto soltanto circa il 50% dell’attività lavorativa può essere soppresso o svolto con modalità a distanza, e alcuni settori, come quello alimentare e quello dei trasporti, sono incomprimibili.

Altri allarmi riguardano anche i paesi più ricchi, soprattutto a causa della maggiore età media della popolazione. La spesa sanitaria in molti paesi avanzati si attesta attorno al 10% del Pil e una riduzione del Pil causata dalla misure di contenimento dell’epidemia non può non riflettersi sulla disponibilità delle risorse per la sanità. Anche in questo caso si può stimare un costo della vita umana: infatti l’aumentata speranza di vita della popolazione dipende anche dalle cure mediche disponibili e molti interventi sanitari hanno costi ben superiori a 30.000 euro per anno di vita guadagnato, fino ad oltre 150.000 euro per anno di vita guadagnato.

E’ chiaro che una riduzione del Pil si ripercuote in una perdita di anni di vita, anche se l’equivalenza tra i due parametri è variabile in funzione delle decisioni politiche sulla ripartizione della spesa pubblica: si può quantificare il costo di un lockdown tanto in milioni di anni di vita perduti quanto in miliardi di euro di Pil. Nei paesi meno avanzati, nei quali sia la spesa sanitaria che l’aspettativa di vita sono minori, si sono verificate a causa delle misure di contenimento dell’epidemia interruzioni di servizi sanitari essenziali, quali le vaccinazioni infantili, le cui conseguenze possono essere drammatiche.

Un altro aspetto degli effetti sanitari del danno economico è misurabile a livello dei singoli individui, piuttosto che della società: è infatti ben noto che l’aspettativa di vita correla positivamente con il livello di scolarità e con il reddito: un aumento del tasso di abbandono scolastico o una riduzione della disponibilità economica possono statisticamente associarsi ad una diminuzione dell’aspettativa di vita. Entrambi questi effetti sono esacerbati dalle misure di contenimento dell’epidemia, e quando ci si chiede perché sia importante riaprire le scuole se ne dovrebbe tenere conto. Purtroppo questi effetti sono difficili da quantificare e attribuire: la ridotta scolarità non figura tra le diagnosi di morte.

Una pandemia impone sempre scelte politiche molto difficili e analisi costi-benefici complesse; nella paura del momento è facile sopravvalutare il rischio connesso con la malattia e sottovalutare quello connesso con le misure per contenerla. E’ chiaro che le strade migliori richiedono compromessi, e il prolungamento della durata dell’epidemia causato dai tentativi di contenerla fa aumentare i danni collaterali. Inoltre i danni collaterali delle misure di contenimento si esplicitano sul lungo termine, anche a distanza dalla fine dell’epidemia.

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