“Fusione è una parola che in relazione all’operazione Fca-Psa usiamo solo in Italia. All’estero si parla di acquisizione da parte di Peugeot”, ha rimarcato pochi giorni fa l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi nel suo intervento sul Messaggero. Il succo della questione è proprio questo. Per gli azionisti di Fca, Agnelli in testa, l’operazione con i francesi è stato un affare. Per il paese e il suo tessuto industriale la partita è tutta da giocare e sarà giocata in trasferta. Alla guida del nuovo gruppo Stellantis ci sarà infatti l’attuale numero uno di Psa, Carlos Tavares e tra gli azionisti di peso compare anche lo Stato francese che avrà una partecipazione del 6,2%. I cinesi di Dongfeng avranno il 4,4%, la famiglia Peugeot il 7,2%. La Exor degli Agnelli sarà sì primo azionista con una quota del 14,4% ma la somma delle partecipazioni dei soci non italiani è superiore. Che si tratti di un’acquisizione e non di una fusione è peraltro scritto nero su bianco sul prospetto di quotazione del nuovo gruppo, documento di 860 pagine che riporta la composizione del cda (6 membri di Psa e 5 di Fca), la guida operativa assegnata ai francesi e ricorda il premio riconosciuto agli azionisti Fca proprio in quanto acquisiti. A pagina 108 si legge che a fini contabili “il management di Fca e Psa ha determinato che Peugeot è l’acquirente“.

Non va poi dimenticato che due anni fa Psa ha comprato la tedesca Opel nei cui consigli di sorveglianza siedono anche rappresentanti dei sindacati. Il governo italiano si è ora accorto dei rischi che questo squilibrio può comportare, quando ci sarà ad esempio da decidere a quali stabilimenti assegnare nuovi modelli, oppure dove effettuare eventuali tagli. Pochi giorni fa il vice ministro all’Economia Antonio Misiani ha ipotizzato un ingresso dello Stato nel nuovo gruppo con una quota simile a quella di Parigi. La mossa appare tardiva ma, come si dice, meglio tardi che mai.

Sesto gruppo al mondo in base ai dati 2020 – Psa e Fca affermano che l’unione darà vita al quarto gruppo mondiale dell’auto. E’ vero se si fa riferimento alle cifre del 2019 . Come calcolato da Automotive News, il 2020 ha però evidenziato un’avanzata dei coreani di Hyundai-Kia, con 4,5 milioni di auto vendute nei primi 9 mesi dell’anno. In base ai dati più recenti Stellantis sarebbe solo sesta con poco meno di 4 milioni di vetture. Il gruppo sarà domiciliato in Olanda, così come già oggi Fca che ad Amsterdam ha la sua sede legale (quella fiscale è in Gran Bretagna). Sempre prendendo a riferimento i dati 2019 Stellantis avrebbe ricavi per 180 miliardi di euro l’anno e una lunga lista di marchi: Fiat, Jeep, Dodge, Ram Alfa Romeo, Maserati, Peugeot, Citroen, Opel e DS. Jeep è però il primo marchio per volumi di vendite nel mondo e ancora di più per capacità di generare profitti.

Il gruppo nasce con un tallone di Achille evidenziato da Luca Ciferri, direttore di Automotive News Europe: “Il gruppo Stellantis ha una quota sul mercato cinese pari all’1%. In sostanza compete al di fuori del primo mercato al mondo. E questo è il primo problema che andrà affrontato”.

Fca e Psa contano di sviluppare dalla loro unione sinergie per circa 5 miliardi di euro a regime. Questo è un dato che può nascondere sorprese sia brutte che belle. Belle se si ottengono grazie ad aumento dei volumi, brutte se arrivano da una riduzione dei costi ottenuta tagliando da entrambe le parti gli elementi delle due aziende che si sovrappongono. Altri possibili risparmi si possono ottenere dalla voce fornitori. Quando Psa ha acquisito Opel parecchi di quelli della casa tedesca sono stati molto semplicemente abbandonati perché costavano di di più.

“Tante le sovrapposizioni, rischio di effetti pesanti per i fornitori deboli” “Queste unioni tra big dell’auto presentano un alto livello di rischio e vengono fatte solitamente in due modi, o mantenendo una sostanziale separazione tra le attività di ingegneria, come nel caso di Renault-Nissan, o facendo prevalere le pratiche organizzative e ingegneristiche dell’acquirente, come fatto ad esempio da VW nelle sue acquisizioni”, spiega Francesco Zirpoli, docente di Economia e Gestione dell’Innovazione all’Università Cà Foscari di Venezia e direttore scientifico del Center for automotive and mobility innovation. “I precedenti non sono particolarmente incoraggianti, la lista di nozze finite male è lunga. C’è però un’eccezione recente molto significativa, ossia la fusione tra Fiat e Chrysler che è riuscita grazie ad uno sforzo di integrazione fuori dal comune che ha portato a sfruttare le complementarietà che avevano le due case automobilistiche, sia da un punto di vista ingegneristico sia produttivo”. Chrysler aveva conoscenze e competenze adatte al mercato statunitense, Fiat a quello europeo, nessuna delle due sarebbe stata in grado da sola di conquistare l’altra sponda dell’Atlantico, insieme ci sono riuscite.

Il caso Psa-Fca è però diverso, sottolinea Zirpoli che precisa: “le sovrapposizioni in Europa sono tante e delle decisioni andranno prese”. Questo pone problemi e sfide per tutta la filiera dell’auto che in Italia è quasi totalmente modellata sulle esigenze del Lingotto. “In Italia esistono già fornitori che lavorano anche per la Francia che probabilmente trarranno dei benefici dalla nascita di Stellantis. Per i più deboli invece gli effetti rischiano di essere molto pesanti”, sottolinea l’esperto. “Vista in un’ottica europea l’operazione è più che positiva. L’Ue a questo punto ospita tre dei primi quattro produttori mondiali, visto che ci sono anche Volkswagen e Renault-Nissan. Guardata solo dall’Italia invece l’unione Psa-Fca qualche dubbio lo pone. Il primo è se i centri di progettazione e la struttura manageriale italiane verranno ridimensionate o azzerate a favore di quelle francesi.

L’attesa per il piano industriale – “Psa era fondamentalmente interessata alle attività statunitensi di Fca che sono la parte del gruppo che genera utili solo scalfiti dalle perdite che si registrano invece in Europa e in Sud America”, spiega Luca Ciferri, direttore di Automotive News Europe. Sulle prospettive del nuovo gruppo Ciferri è chiaro: “Le fusioni falliscono quando non è chiaro chi comanda. In questo caso l’incertezza non c’è: comandano i francesi“. Ma è inutile immaginare quali stabilimenti continueranno a operare in Italia come Stellantis senza avere prima visto un piano di strategia di marche e modelli. Ciferri cita l’esempio di Alfa Romeo: “Finita la produzione della Giulietta l’anno scorso, ora ha in gamma due soli modelli, Giulia e Stelvio. Sono annunciati un SUV medio, il Tonale, che sarà prodotto a Pomigliano dalla fine di quest’anno e uno più piccolo, costruito in Polonia probabilmente dal 2023″. Questo, continua Ciferri, “significa arrivare a una gamma di 4 modelli in tre anni. Oggi Audi ne ha 24, BMW 28 e Mercedes 31. Se davvero Alfa nella gestione Stellantis vorrà combattere ad armi pari con i costruttori premium tedeschi, sfida che nella gestione prima Fiat e poi FCA è sempre fallita miseramente, ci saranno almeno una decina di modelli da aggiungere e quindi anche parecchi stabilimenti da saturare”.

Il governo che non batte mai un colpo – In un decennio l’Italia è scivolata dal terzo al settimo posto nella classifica europea dei paesi produttori di auto. Anche perché, complice Fiat, il paese ha sempre fatto muro contro l’arrivo di produttori stranieri. Quella di Stellantis sembra, almeno per ora, un’altra occasione persa. “La nostra classe politica, di destra e di sinistra, ha guardato all’auto come ad un prodotto ormai maturo, senza cogliere la portata della rivoluzione della mobilità che era in arrivo”, spiega Giorgio Airaudo, responsabile per il settore auto della Fiom – Cgil. Secondo il sindacalista il passaggio dai carburanti fossili all’elettrico e all’ibrido è un cambiamento epocale che, se cavalcato, avrebbe potuto fare da traino all’intero settore industriale e tecnologico del paese. Airaudo riflette sul fatto che sforzi in questo senso si sarebbero potuti “agganciare” anche al Recovery plan che attribuisce una fetta importante delle risorse alla transizione verso un’economia sostenibile. “Non solo per quanto riguarda l’auto ma anche per tutta l’opera di infrastrutturazione necessaria per questi nuovi tipi di alimentazione”, afferma Airaudo che aggiunge “è mancata la capacità creare sistema, magari coinvolgendo i nostri colossi energetici come Eni o Enel. In Francia Psa ha ad esempio stretto un accordo con Total per la produzione di batterie per auto elettriche”. Il governo ha “bucato” anche l’occasione di un anno fa quando ha garantito un prestito per Fca da 6,3 miliardi di euro. Quella, ragiona Airaudo, era l’occasione per strappare qualche garanzia in più agli azionisti Fca sulla futura distribuzione dei modelli tra gli stabilimenti del nuovo gruppo”.

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