Ci mancava solo il caos politico a complicare ulteriormente la vita all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi). Giovedì 14 gennaio, si è concluso con un nulla di fatto l’ennesimo incontro del tavolo tecnico fra i ministeri dell’Economia e del Lavoro, i vertici dell’Inpgi e il sottosegretario con delega all’Informazione e all’Editoria Andrea Martella. Anche a dispetto del fatto che la trattativa sia aperta ormai dal 5 febbraio 2020, cioè da quasi un anno.

Il ministro del lavoro, Nunzia Catalfo, ha nuovamente chiesto all’Inpgi di impegnarsi in un percorso di risanamento. Ma l’istituto guidato da Marina Macelloni non ha ancora formalizzato delle proposte concrete che non arriveranno nemmeno per il nuovo incontro ministeriale previsto per il 22 gennaio e non sembra avere nessuna fretta. L’istituto di previdenza ha infatti in programma soltanto per la fine del mese, probabilmente per il 27, una riunione del consiglio di amministrazione che arriverà oltre due mesi dopo l’ultimo incontro di fine novembre.

Eppure non c’è tempo da perdere. Secondo il bilancio di assestamento preventivo, l’Inpgi si attende una chiusura del 2020 in rosso per 253 milioni. Per l’istituto di previdenza si tratta del quarto anno consecutivo in perdita. Con il preventivo 2021 che delinea una ulteriore perdita di oltre 220 milioni. La gestione previdenziale, considerata la differenza fra le entrate contributive e le prestazioni erogate, è negativa già dal 2010 quando il primo rosso si attestò a 1,3 milioni.

Il patrimonio si è nel frattempo molto ridotto e la liquidità è in picchiata, complici anche le difficoltà a dismettere gli immobili che sono stati conferiti negli ultimi anni nel Fondo Immobiliare Giovanni Amendola, con una forte rivalutazione che ha consentito all’istituto di chiudere i bilanci in utile fino al 2016.

A fronte di questi numeri, per la terza volta, il governo ha comunque deciso con la legge di Bilancio di far slittare il commissariamento dell’istituto di sei mesi. Inoltre ha riconosciuto all’Inpgi gli aiuti previsti per la salvaguardia e l’incremento dell’occupazione e ha caricato sulle casse pubbliche i maggiori oneri per l’assistenza sostenuti dall’istituto nel 2021 per contrastare l’impatto economico e occupazionale del Covid-19.

In cambio, entro il 30 giugno, l’istituto previdenziale dovrà avviare un percorso di riequilibrio dei conti. E qui c’è il punto dolente. Finora la gestione Macelloni ha puntato sull’ampliamento della platea dei contribuenti dell’Inpgi. Sulla base della legge 58 del 2019, dovrebbero infatti finire sotto il cappello dell’istituto anche nuove figure professionali a partire dal 2023.

Al momento, anche se la legge non individua precisamente alcuna categoria professionale, si è ipotizzato il passaggio all’Inpgi dei comunicatori. Tuttavia l’annessione è da anni in stallo per la ferma opposizione dei lavoratori della comunicazione che operano soprattutto nel settore privato. All’interno del tavolo di confronto con il governo è stato allora ipotizzato il passaggio dei soli comunicatori pubblici che però non solo sarebbe insufficiente all’Inpgi (si stima porterebbero circa 50 milioni l’anno) e che comunque potrebbero passare sotto l’Inpgi solo dopo il rinnovo del contratto del pubblico impiego, in negoziazione dal 2018.

La situazione è insomma drammatica. E il sottosegretario all’editoria Martella non è intenzionato a fare altri sconti. Di qui, come spiega a ilfattoquotidiano.it la presidente Macelloni, “l’analisi interna di una serie di ipotesi di lavoro con il relativo impatto sui conti dell’ente”. Tagli che comunque non risolverebbero i problemi dell’Inpgi.

Fra questi la retrodatazione del calcolo contributivo a partire dal 2007 che equivarrebbe a un taglio delle future pensioni, con un risparmio da poco più di un milione nel 2021. E poi ancora un contributo di solidarietà sulle pensioni superiori a 100mila euro lordi con un taglio tra il 15 e il 40 per cento. La sforbiciata dovrebbe riguardare 800 pensionati e porterebbe a un risparmio di circa 4,5 milioni l’anno per un massimo di tre anni. Al vaglio anche un intervento sulle pensioni di reversibilità che potrebbero essere ritoccate al ribasso del 15 per cento passando dal 75 al 60 per cento, con un risparmio di circa un milione.

Non sembra invece che i vertici dell’istituto abbiano seriamente preso in considerazione la richiesta dei consiglieri di opposizione di un taglio significativo dei compensi degli organi collegiali e dei dirigenti (in alcuni casi appena sotto i 250mila euro l’anno come per la presidente Macelloni e il direttore generale Mimma Iorio). Ma si stiano limitando a valutare una revisione dei compensi degli organi collegiali e delle quote al sindacato del 5 per cento e dei salari di tutti i dipendenti dello 0,5 per cento.

Infine, si starebbe studiando anche la possibilità di unificare la cassa Inpgi1 dei giornalisti dipendenti con quella Inpgi2 dei collaboratori. L’operazione, che dovrebbe avvenire di pari passo con una riduzione dei costi di struttura, rischierebbe però col danneggiare la situazione finanziaria dell’Inpgi2, senza peraltro risolvere i problemi dell’ente previdenziale.

“La ‘ricetta’ del Governo è solo una, chiedere al Cda di mettere le mani nelle tasche dei colleghi sulla base di cinque interventi – hanno scritto in una nota del 14 dicembre i consiglieri di amministrazione di Sos Inpgi per il futuro e Stampa Libera e Indipendente Carlo Parisi, Elena Polidori e Daniela Stigliano, con i componenti del comitato amministratore dell’Inpgi 2, Ezio Ercole e Orazio Raffa – Retrodatazione del sistema contributivo per i giornalisti dipendenti; revisione delle pensioni di anzianità; nuovo contributo di solidarietà per le pensioni in essere; riduzione dei costi di struttura; unificazione delle due gestioni Inpgi 1 e Inpgi 2, per noi moralmente inaccettabile se finalizzata esclusivamente ad erodere il patrimonio dei colleghi più deboli per far fronte al pagamento delle pensioni della gestione principale. Misure che – comunque – tutte insieme ammonterebbero a meno di 100 milioni di euro“.

In altre parole la coperta è men che corta: è all’osso e la situazione è decisamente critica. Di qui, lo scorso 16 dicembre, l’appello dell’Ordine dei giornalisti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella per chiedere una garanzia pubblica a favore dell’ente come vorrebbero i consiglieri di minoranza dell’Inpgi. “Il Consiglio nazionale dell’Ordine mette nella mani sensibili al tema del capo dello Stato la necessità improcrastinabile di una garanzia pubblica anche a tutela dell’autonomia di una categoria vitale come l’ossigeno per la democrazia”, si legge nell’appello. Che pochi giorni dopo è stato seguito da un’analoga iniziativa della corrente sindacale Punto e a capo che ad oggi ha raccolto quasi duemila firme. Ma finora nulla si è mosso.

Aggiornato da Redazione web il 17 gennaio 2021 alle 20.50

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