300. Questo è il trecentesimo post di questo blog, se non ho sbagliato i conti. Spesso accade agli ingegneri: ciò che importa è l’ordine di grandezza, la precisione viene dopo. 300 è un numero speciale: 300 gli spartani alle Termopili, 300 i mazziniani che sbarcarono a Sapri, 300 zeroes è un libro pubblicato una decina di anni fa che narra una escursione lunga 2.200 miglia sulla catena degli Appalachiani. E il post di oggi commenta un altro libro sul camminare. Roba personale, anche più del solito. Chi vuol capire, capisca; e accetti il mio augurio di un 2021 migliore dell’anno che muore.

In quest’anno orribile, non tutti i cambiamenti che la pandemia ha prodotto nella nostra vita quotidiana sono negativi. Quasi tutti, ma non proprio tutti. Per esempio, in questo periodo ho ritrovato voglia e piacere di camminare. Una riscoperta comune a molti coetanei, baby boomers cresciuti inforcando un Ciao Piaggio; poi, fieri giovinastri alla guida di una Dyane o una più impegnativa Mini Cooper.

Camminare in città o sulle Alpi, passeggiare lungo il mare ai bordi della spiaggia innevata come stamane, percorrere i sentieri liguri, frugali come la gente dei luoghi, mi ha regalato momenti di riflessione, osservazione, scoperta, consolazione.

Ho trovato il libretto sotto l’albero. Camminare può cambiarci la vita è il titolo, meno icastico dell’originale: In praise of walking (Elogio del camminare). È il dono natalizio del mio compare, l’altra metà dei Figli di un Rio Minore ovvero dei Children of a Lesser River, duo musicale a cui (troppo) spesso rimando in questo blog. L’autore è Shane O’Mara, un collega irlandese che lavora nella Scuola di Psicologia del Trinity College di Dublino.

Un ateneo dove insegnò uno dei miei maestri, Jim Dooge, forse l’idrologo di maggior impatto del XX secolo, che servì anche il suo paese come ministro degli Esteri in un periodo terribile per l’Irlanda. E che, negli anni 90, m’invito a far parte degli idrologi celtici: “In fondo, sei genovese…” Con i colleghi irlandesi ho sempre avuto una particolare empatia.

Trovo formidabile Il saggio di O’Mara, scritto prima della pandemia, perché conferma l’intuizione di chi ha riscoperto la vera alternativa – semplice, economica, frugale – per superare l’uggia della vita sedentaria: molti di noi trascorrono la maggior parte del tempo in un ambiente innaturale, ufficio o aula o capannone. Anche a casa, se in remote working, sei seduto con gli occhi fissi su uno schermo messo a mezzo metro dal naso.

Lo studio di O’Mara spiega l’evoluzione, la meccanica e la necessità del camminare, una capacità che distingue l’essere umano da ogni altra specie vivente. E ne proietta i benefici sulla salute fisica e mentale, su creatività e condivisione, sullo stare bene con sé stessi e con gli altri.

Gli argomenti di O’Mara sono semplici, immediati, intuitivi: “camminare è olistico: ogni suo aspetto aiuta ogni aspetto dell’esistenza”. Nello stesso tempo, le ragioni del camminare sono divulgate in modo esauriente sotto l’aspetto scientifico, senza pedanterie. E convincono anche il più riottoso dei sedentari, dimostrando quanto sia essenziale “riprendere” a camminare: un netto guadagno sul piano fisico e mentale, a livello di umore, lucidità, estro, connessione con il mondo sociale, urbano e naturale.

La pandemia suggerisce alla società di mettersi in discussione. Se camminare fa bene, dobbiamo ripensare al disegno urbano, alla mobilità urbana e rurale, al paesaggio come bene comune. Sotto l’etichetta un po’ ipocrita di “Green new deal”, vengono spesso proposte colate cementizie ingentilite da alberelli più o meno stitici, contrabbandati per foreste.

L’occasione del Recovery Fund rischia di versare l’ultimo goccia nel vaso stracolmo della insostenibilità. Come ho scritto sull’ultimo numero di Dislivelli, il Next Generation Eu può anche diventare un mezzo per realizzare i propositi del great sustainable reset invocati dal World Economic Forum, non da un comitato ecologista malato di nimby. Tutto ciò richiede però strumenti consapevoli di governo del territorio, un obiettivo particolarmente difficile “in un paese dove gli edifici e la facoltà di edificare sono sacri doni, eterni e indiscutibili, e le concessioni demaniali un privilegio di casta”.

Per riscoprire il paesaggio camminando ma senza correre, né sfrecciare in bicicletta, auto, treno o aereo, è necessaria una visione anomala rispetto ai canoni del passato. Per praticare questa visione, la comunità deve trovare meccanismi idonei ed equi. E darsi un governo del territorio capace di metterli in pratica nel quotidiano.

Per ultimo, non posso che ringraziare questo giornale per la libertà di espressione che mi ha sempre e comunque garantito. Non è poco, in un paese dove le televisioni s’ispirano all’Istituto Luce del ventennio, quel che resta dei giornali pubblica solo commenti sotto forma di notizia e l’abuso della credulità popolare miete successi straordinari.

Ringrazio Il Fatto Quotidiano per l’opportunità unica di aver potuto sperimentare una scrittura diversa e diretta. E tutti coloro che, con i loro commenti, hanno reso viva questa esperienza, arricchendola. Senza di loro, un blog non esiste.

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