Il 2020 per la musica, come per tanti altri ambiti, è stato un anno disgraziato. Proviamo però a tirare fuori qualche nota positiva nel complesso della mestizia. Intanto, in questo 2020 sono usciti album molto belli; alcuni li aspettavamo da tanto tempo e non ci hanno delusi. È singolare anche che facciano parte di differenti generazioni e sostanzialmente abbiano anche pubblici diversi. Mi va di citarne quattro.

Per esempio Claudio Baglioni: dopo oltre sette anni e due album in studio che non convincevano del tutto, meno di un mese fa è uscito con il disco In questa storia che è la mia, finalmente un album strutturato e con delle canzoni d’amore degne del suo passato impegnativo. Poi c’è stato l’esordio discografico solista di Francesco Bianconi, leader dei Baustelle, che con Forever ha dato prova di grandissima maturità vocale e di scrittura, con uno stile lontano dalle ruffianerie di troppa canzone mainstream e almeno due pezzi strepitosi: L’abisso e Certi uomini.

Merita una menzione particolare Samuele Bersani, forse il più rappresentativo tra i cantautori della cosiddetta terza generazione, che con Cinema Samuele ci ha fatto capire che non ha senso parlare di fine di un’era per la canzone d’autore italiana: basta avere qualcosa da dire e saper scrivere i brani; Harakiri e Il tiranno sono canzoni deliziose. Lascio per ultimo quello che secondo me è il miglior album del 2020: Tilt! di Pino Marino. Su queste pagine parlai in anteprima nazionale di Calcutta, il singolo di lancio del disco. Dentro al disco ci sono brani di lacrime e sangue, teneri e potenti, come Crepacuore, Roma bella o Caterina volentieri che hanno una dignità e una precisione, un gusto per la melodia e un’attenzione alla forma e al contenuto di una raffinatezza da stordire.

Un altro aspetto positivo di questo 2020 è che forse in Italia è stata la volta buona per poter lanciare il concetto di evento in streaming. Niente sostituisce i concerti di persona, sia chiaro; come per l’insegnamento a scuola, bisogna comprendere l’integrazione fruttuosa che lo streaming può apportare alla presenza. Può essere un’ottima risorsa in più per chi già fa grandi numeri dal vivo: ci sono società che si occupano dello streaming da ben prima del Covid e – soprattutto fuori dall’Italia – i concerti in streaming hanno un mercato florido: basti pensare che nel 2015 i Grateful Dead con 5 concerti hanno fatto 400.000 spettatori, con biglietti a 80 dollari.

Soprattutto però – cosa più interessante – può fare al caso di artisti che si posizionano in una certa nicchia, come ha recentemente dichiarato anche Marco Pontini di Radio Italia: “Si può trovare terreno fertile sia dal fronte dell’artista che dal fronte del pubblico”. Bisogna farli bene, professionalmente, e non basta certo una voce e una chitarra con un telefonino puntato addosso. Vale la pena di approfondire questo aspetto, proprio perché può essere uno stratagemma davvero rivoluzionario per le carriere di certi artisti. Si può creare qualcosa che oggi non c’è, vista la distanza tra loro degli appassionati di questo tipo di artisti.

In Italia ci sono stati soggetti istituzionali, associazioni ed enti promotori molto attivi in questo 2020, e potranno diventare anche garanzia di qualità degli appuntamenti se riusciranno a fidelizzare gli spettatori sui canali giusti. Penso a Officina Pasolini, splendida realtà romana guidata da Tosca, che negli ultimi mesi del 2020 ha proposto diversi incontri con cantautori e non solo. Ma penso anche al Club Tenco, al Premio De André, al Premio Bianca D’Aponte e ad altri soggetti che in futuro potranno fare molto se si concentreranno (anche) su queste modalità.

Ripeto, fare eventi in streaming non vuol dire improvvisare concerti di fortuna, com’è successo nella scorsa primavera: può diventare una risorsa importante e un modo rivoluzionario per espressioni artistiche di qualità, che soprattutto riesca a creare un mercato florido e – finalmente – indipendente, viste le risorse che la rete mette a disposizione.

Le premesse ci sono, vedremo cosa accadrà nel 2021.

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