Quattro anni con il fardello di un’inchiesta sulle spalle e la scelta di candidarsi ugualmente a sindaco di Catania. L’elezione, a giugno 2018, e dodici mesi con la fascia tricolore. A luglio scorso la doccia gelata: condannato in primo grado a quattro anni e tre mesi per peculato e sospeso per 18 mesi con l’applicazione della legge Severino. Poi il nuovo colpo di scena e il reintegro in municipio dopo un ricorso al tribunale Civile. Per Salvo Pogliese la vicenda però è tutt’altro che chiusa, anche perché a occuparsi nel merito della vicenda sarà la Corte Costituzionale. Nell’attesa l’ex eurodeputato e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia in Sicilia orientale riprenderà lo scranno lasciato vacante in municipio per 135 giorni. In una città già profondamente segnata da un dissesto che supera il miliardo di euro.

Al centro della vicenda Pogliese ci sono quelle che sono state ribattezzate le spese pazze all’Assemblea regionale siciliana. Cioè l’utilizzo dei fondi del gruppo parlamentare durante il mandato da deputato regionale e capogruppo del Popolo delle Libertà. Sotto la lente d’ingrandimento della procura di Palermo, in un’inchiesta con decine di ex deputati siciliani indagati e processati, finì la gestione di circa 50mila euro che, secondo i magistrati, Pogliese avrebbe utilizzato per usi impropri. Un lungo elenco in cui figuravano 1200 euro per la sostituzione di maniglie e serrature in un studio professionale riconducibile alla famiglia, 30mila euro per dei pernottamenti in albergo a Palermo ma anche 280 euro per pagare la retta scolastica di uno dei figli. Il sindaco etneo si era difeso sostenendo che quei soldi erano stati anticipati per pagare le spese del gruppo e, successivamente, parzialmente recuperati.

Una tesi che però non ha mai convinto i magistrati che a settembre dello scorso anno chiesero la condanna a quattro anni e tre mesi per peculato. Dieci mesi dopo la scelta del collegio giudicante, presieduto da Fabrizio La Cascia, di accogliere per intero la tesi dell’accusa. Il resto della vicenda rimanda all’attualità: applicazione della legge Severino e sospensione per 18 mesi. Pogliese, che dovrà affrontare il processo d’appello, ha deciso di anticipare i tempi e rivolgersi anche al tribunale civile di Catania con un corposo ricorso firmato dagli avvocati Eugenio Marano, Claudio Milazzo e con la collaborazione del costituzionalista Felice Giuffrè.

Sette motivi di presunta illegittimità nell’applicazione della legge Severino che però non hanno convinto del tutto i magistrati della prima sezione civile, presieduta da Massimo Escher. Come emerge dall’ordinanza tutti i rilievi, eccetto uno, sono stati bollati come “manifestatamente infondati”. Nell’elenco dei legali di Pogliese c’era la “violazione del principio di presunzione di non colpevolezza” in quanto la sentenza per peculato è ancora di primo grado. Altro rilievo è quello sulla competenza della prefettura di Catania nel disporre la sospensione. Poi le questioni sulla disparità di trattamento, con la legge Severino che dispone la sospensione soltanto per le cariche regionali e locali ma non per quelle nazionali ed europee. A fare scattare il reintegro invece i dubbi sulla durata della sospensione: 18 mesi validi per qualunque tipo di condanna. Per i giudici bisognerebbe calcolare invece uno stop proporzionato ai fatti contestati a Pogliese. A esprimersi nel merito sarà però la Corte costituzionale. Intanto il sindaco torna in municipio “con il cuore colmo di gioia”.

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