Mai momento è stato più propizio per parlare della condizione infantile e giovanile quanto la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che cade oggi. Se dovessimo fare un bilancio, stando solo all’Italia, l’esito sarebbe drammatico. Abbiamo centinaia di migliaia di bambini e giovani privati di diritti essenziali, come quello allo studio, quello alla socialità. Registriamo un impoverimento generale che cade anche e soprattutto su di loro, un aumento dei casi di violenza nelle famiglie chiuse in casa, per non parlare di tutti i minori disabili che vivono tutto ciò con sofferenze ancor più aumentate.

Ma la pandemia non cancella i problemi di prima. Non cancella, almeno per ora, l’enorme debito pubblico che incombe sulla testa di ogni nato, non cancella certamente l’altro debito, ancora più grave e minaccioso, quello ecologico, che i padri hanno lasciato sempre in eredità ai propri figli.

In questo contesto leggere l’ultimo libro del giornalista Giovanni Floris, L’alleanza. Noi e i nostri figli: dalla guerra tra i mondi al patto per crescere (Solferino) è sicuramente stimolante. Floris rifiuta le semplici definizioni stereotipate come quelle tra “sdraiati” e “boomer”, così come quella che vede i giovani “santi” e gli adulti “diavoli”.

Ammette però che la situazione infantile e giovanile sia infelice, come ha dimostrato anche la pandemia dove “c’erano regole per portare il cane a passeggio ma restava un mistero come far fare un giro ai bambini e dare l’ora d’aria agli adolescenti”. E spiega con chiarezza la drastica diversità di condizione, se è vero che “io la prima manifestazione a scuola l’ho fatta perché si erano rotti i termosifoni, loro perché il pianeta rischia di sciogliersi”.

Al tempo stesso, tuttavia, nel libro si parla anche dello spasmodico tentativo dei genitori, quelli cosiddetti “elicottero” ma non solo, di cercare di dare al proprio figlio il massimo possibile, spesso privandosi di cose per sé, ma anche arrivando ad effetti paradossali: con bambini che, ad esempio, sanno parlare diverse lingue “ma non riescono a dire buongiorno quando entrano in una stanza” oppure non riesco ad allacciarsi le scarpe a sei anni quando magari già sciano.

Il libro descrive anche questo cortocircuito: più le condizioni esterne peggiorano, più le famiglie si stringono sui propri figli, cercando di proteggerli, di evitare gli urti della realtà, i conflitti, la consapevolezza che il mondo sta rapidamente peggiorando sotto alcuni aspetti fondamentali, come quello ambientale, ma anche professionale, se è vero che per i più giovani “la possibilità di una vita adulta in condizioni peggiori rispetto alla propria famiglia d’origine è superiore a quella di migliorare la propria posizione sociale”. Il risultato di tutto ciò è un ripiegamento degli stessi ragazzi sulla famiglia.

Il conflitto tra generazioni oggi è più attutito che mai: la scarsa autonomia è un problema culturale, ma aggravato e alimentato dal fatto che i giovani per sopravvivere dipendono da genitori e nonni. Tanto che, nota sempre il libro, un sondaggio di Nando Pagnoncelli ha rilevato la contrarietà degli stessi giovani a togliere risorse agli anziani per ridistribuire le risorse ai giovani, a causa dello scetticismo rispetto alla politica e alla paura di perdere quel poco welfare che c’è, ossia le pensioni e gli stipendi dei propri parenti.

E allora, in definitiva, che fare? Come aiutare bambini, adolescenti e giovani a uscire da questa palude, fatta di mancanza di speranza, mancanza di lavoro, paura di una pandemia che non finisce e possibili ulteriori pandemie, timore di un peggioramento delle condizioni climatiche? Giovanni Floris propone giustamente di accantonare dicotomie inutili come “boomer” vs “gretini” e propone un nuovo patto tra le generazioni. Un patto in cui gli adulti aiutino i giovani ad autonomizzarsi, anche attraverso la creazione di un welfare concreto, e i giovani cerchino di farsi spazio con più forza, prendendo consapevolezza dei propri diritti.

Ammetto, tuttavia, di non essere sicura che questa idea funzioni. In realtà, un patto tra le generazioni già c’è. Lo abbiamo visto in queste settimane drammatiche con le madri che scendono in piazza per difendere la scuola dei figli, ad esempio. In un certo senso, lo scontro vero oggi è tra figli/genitori qualunque, senza santi in paradiso, e una classe politica, pure di sinistra, che non riesce neanche a capire cosa significhi per bambini e genitori una scuola chiusa. Tra figli e genitori qualunque, come quelle donne incinte che fanno tutte le visite sole e chi, come la coppia Ferragni-Fedez, può invece accedere a un trattamento diverso in virtù di ricchezza e fama. Sempre-più-poveri vs sempre-più-ricchi.

Tuttavia ciò non esclude, in effetti, che la ricchezza sia comunque divisa anche in senso generazionale e che molti giovani siano poveri perché non hanno un welfare familiare né uno pubblico. Il conflitto tra una generazione dalle mille tutele e una dalle tutele zero dunque esiste. Ma più che essere sopito, più che attenuarsi in un accordo o alleanza pure costruttiva, io credo che l’unica soluzione per uscire dalla stagnazione sia il contrario. E cioè che i giovani prendano reale consapevolezza della loro condizione attuale e di quella che li aspetta.

Sarà un momento di “agnizione” doloroso, per molti scioccante – ma come, nella mia infanzia ho avuto tutto e ora mi aspetta il rischio dell’estinzione della specie? – ma necessario perché ci sia quella reazione vitale che porti ad alzare la voce e anche di molto. Greta Thunberg non si è fatta sentire, né ha raggiunto notorietà, alleandosi con gli adulti; al contrario li ha messi su un tribunale e gli ha mostrato tutte le loro terrificanti colpe.

È banale dirlo ma la storia insegna che solo dal conflitto, e dal conflitto aspro, dire feroce, può nascere un cambiamento. La classe dirigente che non rappresenta più nessuno, ma a maggior ragione i giovani: è fatta di maschi, per lo più anziani, privi di una minima cultura sul cambiamento climatico, del tutto dimentichi di cosa significhi un welfare non fatto di bonus pioggia (anche se alcuni cenni l’attuale governo li sta dando, penso ad esempio all’introduzione di un assegno unico per i figli). E anche i protagonisti un po’ meno anziani, i 40-50enni, nel mondo della politica ma anche dei media, non sembrano purtroppo diversi.

Insomma, se l’analisi di Floris è corretta, io vedo però un esito diverso, quello dell’inevitabile e – per quanto tragico – fisiologico scontro. Quello che possiamo fare noi adulti non è soffocarlo, al contrario favorirlo. Ad esempio spiegando ai nostri figli, e a tutti i giovani, la situazione nella quale vivono e cosa li aspetta, senza troppi giri di parole. E sperando che vadano a ingrossare sempre più le piazze degli scioperi climatici, che prendano sempre più parte alle varie forme di attivismo giovanile – come i Fridays for Future o gli Extinction Rebellion – che lottano contro chi sta distruggendo il loro futuro neanche troppo lontano.

I ragazzi che in ottobre si sono incatenati di fronte al palazzo dell’Eni a Roma, dormendo per terra, gettandosi petrolio simbolico addosso, non mollando, ecco: per me sono il futuro. Loro non fanno sconti a nessuno. Ironia della sorte, sono stati multati per i giorni della manifestazione e ora stanno facendo un crowdfunding di successo per pagare le multe che la polizia ha pensato di infliggergli. Dimostrando che all’individualismo predatorio dei loro genitori si risponde col senso di comunità. Oltre che, ovviamente, con la rabbia: meglio se, come nel loro caso, creativa. Rabbia che, da sempre, è il vero motore di ogni reale, e non fasulla, trasformazione.

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