Ennesimo arresto, il terzo in quattro giorni, che ha decapitato i vertici della ong egiziana Eipr, la stessa con cui per anni ha collaborato Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato all’aeroporto del Cairo ormai nove mesi e mezzo fa. Stavolta le forze di sicurezza hanno colpito il pezzo principale dell’organizzazione che si occupa di diritti umani, portando davanti al giudice della procura il direttore esecutivo Gasser Abdel Razek per i quali sono stati disposti i primi 15 giorni di custodia cautelare in carcere.

Modalità fotocopia a quella degli altri due colleghi, il direttore amministrativo Mohamed Bashir, prelevato domenica, e il responsabile dell’unità di giustizia penale, Karim Ennarah: gli agenti sono entrati nelle abitazioni dei tre al Cairo facendo tutto il rumore possibile, seguendo uno stile consolidato. Nel caso di Ennarah è andata male: l’attivista era con la famiglia in vacanza a Dahab nel sud del Sinai dove tuttavia, poche ore dopo, è stato prelevato mentre stava pranzando in un ristorante.

Subito dopo l’arresto di Mohamed Bashir c’è stata la dura presa di posizione da parte del ministero degli Esteri francese: “Esprimiamo profonda preoccupazione per l’arresto del direttore amministrativo di Eipr. La Francia intrattiene un dialogo franco e fermo con le autorità egiziane sul fronte dei diritti umani, inclusi alcuni casi individuali, e intende continuare questo dialogo e a difendere e proteggere i diritti umani nel mondo”. La risposta della controparte egiziana non si è fatta attendere: “Non accettiamo ingerenze esterne su questioni che riguardano il nostro Paese – ha affermato Ahmed Hafez, portavoce del ministero degli Affari esteri del Cairo – e rigettiamo il contenuto del comunicato francese che cerca di influenzare le indagini condotte dalla pubblica accusa. L’Egitto sceglie il principio di astenersi o commentare misure adottate dalle autorità di altri Paesi sul fronte giudiziario. Esprimo rammarico per le affermazioni della Francia e la sua difesa di un ente che opera illegalmente nel campo del lavoro civile visto che l’Eipr è un’organizzazione registrata con degli scopi, ma di fatto svolge altre attività”.

Con questa dichiarazione, in pratica, il governo egiziano ha considerato fuori legge tutte le diplomazie presenti nella sala riunioni dell’Eipr il 3 novembre scorso, quando si è tenuto un incontro sui diritti umani al quale ha partecipato anche l’ambasciatore italiano, Giampaolo Cantini. La Francia ha osato alzare la testa e criticare apertamente l’operato del regime di Abdel Fattah al-Sisi. Ilfattoquotidiano.it aveva provato ad ottenere un commento o una dichiarazione anche da parte dell’inviato di Roma o di qualche membro della Farnesina, senza successo. Eppure, stando a fonti dello stesso ministero, stamani qualcosa si è mosso. Il nostro ambasciatore ha inviato una lettera al ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, per richiedere il rilascio immediato dei dirigenti dell’Eipr. La lettera era firmata da numerosi capi missione di altri Paesi, non solo europei: “Si tratta di funzionari con cui la nostra ambasciata è da tempo in frequente contatto in relazione al caso del giovane ricercatore Patrick Zaki”, riportava un passaggio della missiva.

Già mercoledì, dopo l’arresto di Ennarah, la Farnesina aveva manifestato all’ambasciatore egiziano a Roma la sua profonda preoccupazione per l’ondata di arresti. Nel Paese dei Faraoni la situazione è ormai fuori controllo dopo l’ennesima repressione messa in atto dal regime. A farne le spese è stata la ong fondata a inizio millennio da Hossam Bahgat: “Oggi torno a dirigere l’Eipr (Egyptian iniziative for personal rights, ndr) fino a quando i vertici non saranno rilasciati. Creare nel 2002 e gestire questa creatura per dieci anni è stata senza dubbio la cosa di cui vado più orgoglioso nella mia vita e sono onorato di esserne, ad oggi, il presidente onorario. È tempo di ricongiungersi al suo staff coraggioso e di talento per affrontare questa guerra”, ha twittato Bahgat, notissimo attivista e giornalista, anche lui finito in cella per il suo attivismo nel 2015.

Tornando all’arresto di ieri sera, Abdel Razek è comparso davanti alla Procura per la sicurezza dello Stato una dozzina di ore dopo l’irruzione dei servizi nella sua casa ed inserito nel caso 855, lo stesso di Ennarah e Bashir. Identica l’accusa dunque: “Essersi unito ad un gruppo terroristico, diffondere false dichiarazioni che disturbano la sicurezza pubblica, danneggiare il pubblico interesse ed utilizzare un account online per diffondere false notizie“. Accuse pesantissime contro la prima organizzazione in Egitto a riconoscere i diritti Lgbt come diritti umani, lo stesso settore curato per quasi quattro anni da Patrick Zaki.

In questi mesi, da più voci è arrivata una richiesta di intervento delle autorità italiane affinché si impegnassero con i colleghi egiziani per liberare Zaki. Appelli diretti soprattutto nei confronti del nostro ambasciatore al Cairo, Giampaolo Cantini. Eppure, sebbene sottotraccia, l’attività diplomatica si è mossa. Ad esempio il 3 novembre scorso, quando Cantini, assieme ai colleghi di 12 ambasciate, in larga maggioranza di Paesi europei, ha partecipato alla riunione nella sede dell’Eipr a Garden City, elegante quartiere a due passi dal Nilo e dalla nostra ambasciata. Il tema della giornata di lavoro era stato proprio il rispetto dei diritti umani, un evento sgradito al regime di al-Sisi. Gli inquirenti hanno voluto sapere di più su quella riunione dai tre dirigenti dell’Eipr arrestati negli ultimi cinque giorni. Adesso la misura è colma e le altre organizzazioni umanitarie egiziane sono mobilitate: “È urgente assumere ogni iniziativa possibile per favorire il rilascio dei funzionari dell’Eipr arrestati e fermare questo attacco alla libertà. In questi giorni, inoltre, abbiamo assistito ad un attacco vergognoso di alcuni media vicini al governo nei confronti proprio di Gasser Abdel Razek e del fondatore di Eipr, Hossam Bahgat”, afferma Mohamed Lotfy, dirigente dell’Ecrf, l’organizzazione del Cairo che si occupa, tra gli altri, del caso Regeni. Dopo il secondo arresto, quello di Ennarah, avvenuto mercoledì scorso, la senatrice bolognese del M5S, Michela Montevecchi, membro della commissione straordinaria dei diritti umani e attenta agli aggiornamenti del caso Zaki, aveva fatto una richiesta: “Chiedo che sia messa in campo ogni iniziativa utile a supportare una mobilitazione internazionale su quanto sta accadendo in Egitto. La situazione che si sta profilando è inquietante”.

Articolo Precedente

Come portiamo il virus tra i nostri familiari: il finale dello spot diffuso in Francia è doloroso

next
Articolo Successivo

Recovery Fund, perché una visione non unilaterale della storia sarebbe utile alle nostre tasche

next