Corridoi deserti: studenti e personale, tutti debitamente mascherati, in transito nei cambi d’ora con fare circospetto e frettoloso, l’aula come l’isoletta per il naufrago. Sfuma il ricordo delle chiassose adunanze di soggetti variamente mischiati, chi cacciato dall’aula dove faceva casino impedendo la lezione, chi in attesa del sostituto del prof malato, chi in allerta per le retate cicliche della presidenza e dei collaboratori, a caccia degli imboscati nei gabinetti o al bar ora chiuso.

Porte delle aule aperte, così che intravedi l’assetto-Covid della scolaresca. Anche qui silenzio innaturale, la voce dell’insegnante, a volte quella dell’interrogato. Fruscii di libri e quaderni aperti, dita che si muovono frenetiche e di nascosto sulle tastiere degli smartphone, il richiamo minaccioso del prof che se ne è accorto. Non senti più gli urlatori studenteschi e le voci tonanti dei docenti che gridavano per sembrare autorevoli e sovrastare il chiacchiericcio.

Entri in una scuola dell’era covid e ti sembra un altro posto, sono sparite perfino le mamme e i papà (più rari anche in passato) che affollavano gli ambienti a caccia dei docenti dei figli, per scusarsi (raramente), pietire (quasi sempre), minacciare (sempre più spesso).

Il virus ha cambiato anche le gerarchie interne – quelle informali perciò reali -, disegnando figure prima definite genericamente Ata (aiutanti tecnico-amministrativi) e indistinguibili uno dall’altro: nella covid-scuola i misuratori della temperatura impugnano come uno scettro lo strumento, i sanificatori si muovono con perizia con lo spruzzatore fra cattedre, banchi e attaccapanni, i controllori osservano il traffico in entrata e uscita, sorvegliano i rari movimenti interni e così via: tutti hanno un ruolo e lo interpretano al meglio. Anche gli imboscati e i fannulloni cronici debbono studiare nuove forme con cui esercitare questa vocazione.

Insomma, un clima innaturale come sembrano sottintendere le domande che circolano fra i docenti più accorti: “dove si imboscano per fumare, visto che fuori non si va e anche gli intervalli sono da caserma?”, “possibile che le effusioni avvengano tutte fuori da qui?”, “ma davvero hanno smesso del tutto di toccarsi, a vantaggio del guardarsi sui social?” per arrivare a “quando scoppieranno?”.

Girando per le scuole gli effetti del virus si vedono eccome, sugli adulti e sui ragazzi. Si avverte che alcuni sono destinati a sparire con la fine della pandemia, altri segneranno indelebilmente le esistenze che ne sono state attraversate. Non ci si occupa mai abbastanza di cosa non sanno, di quello che non sanno più fare, del senso di ciò che si pretende che imparino, delle “competenze” che dovrebbero possedere per vivere nel mondo di oggi e in quello di domani.

Non ci si occupa quasi mai di ciò che sono, che sono diventati e di ciò che diventeranno domani. Ai tanti che, nell’ombra, si interrogano e provano a costruire il futuro prossimo dell’educazione si consiglia caldamente la visione di Rita (su Netflix) una serie televisiva danese che in 40 episodi racconta la scuola degli insegnanti – quelli positivi e quelli autoriferiti –, dei genitori d’oggi – infantili e perciò disattenti a ciò che serve davvero ai loro figli – , della burocrazia ottusa che riforma, apre e chiude con la stessa disattenzione che la politica dedica alle delicate tematiche di quale sia la società che si vuole per il futuro. Forse perché non lo sa, oppure perché preferisce non pensarci.

Anche per questo i Vincenzo De Luca, Attilio Fontana, Giulio Gallera, Giovanni Toti, Luca Zaia, virologi e igienisti assortiti, tutti quelli che non hanno avuto voglia o capacità di organizzare i trasporti per distanziare le persone e permettere di andare al lavoro e a scuola in tranquillità, tutti quelli che ancora oggi non hanno organizzato un efficace sistema per la gestione dei tamponi e così costringono in casa per settimane individui sani consentendo nel contempo ai malati di andarsene in giro senza neanche saperlo; tutti quelli che fannulloneggiano con la scusa della pandemia, a cominciare da chi non vuole la scuola aperta 8 ore con i turni giusti di entrata e uscita, tutti quelli che scaricano le responsabilità sugli altri, tutti quelli che hanno sghignazzato per i banchi con le rotelle senza chiedersi a chi servano, tutti quelli che gioiscono per l’ordine apparente e il silenzio che alberga nella scuole del virus… insomma tutti quelli che la stampa e la tv ci propongono quotidianamente, sono destinati a diventare i protagonisti di un’infezione ancora peggiore, quella che sta mettendo a dura prova le giovani generazioni: l’inciviltà autodistruttiva.

Ps. Una buona notizia: due ragazzi allontanati da scuola perché, nonostante i ripetuti richiami, continuavano a baciarsi in un anfratto dei corridoi della scuola. Speriamo che siano negativi (al tampone).

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