di Federico Castiglioni

Non poteva non accadere. Alla terza giornata del campionato di calcio, la macchina del pallone si è già inceppata malamente. Prima il rinvio raffazzonato di Genoa-Torino a causa dei ventidue casi di positività al Covid-19 fra giocatori e staff dei grifoni, ora la pantomima di Juventus-Napoli con una sola squadra in campo, mentre Gattuso e i suoi atleti rimanevano fermi in Campania in isolamento fiduciario.

No, questo spettacolo non s’ha da fare, ma nessuno lo vuole ammettere e nessuno si può permettere di non metterlo in scena. Il calcio, retoricamente usato come emblema della tanto bramata “normalità”, è per la dimensione ludica a cui appartiene la cosa più anormale in circolazione. Protocolli, disposizioni, accessi limitati, tassative norme igienico-sanitarie, nulla salva ormai il baraccone mentre la disaffezione cresce più velocemente dei contagi, con quella sostanziale paura di fondo sul dover “convivere con il virus”, un concetto generale duro a digerire e che forse forse non significa comunque che tutto può e deve essere uguale a prima.

Il famigerato protocollo sanitario della Figc, documento a tratti comico a tratti animato dalla disperata volontà di non far fermare le macchine dello spettacolo, si rivela per quello che è: carta straccia. Per settimane, mesi, si è visto in questo accordo tra club, Federazione e governo la più semplice soluzione per garantire la “normalità”, il deus ex machina capace di garantire per sempre il funzionamento delle macchine dello spettacolo calcistico. Lo si è fatto sulla base di privilegi zaristi, scrivendolo nero su bianco ma senza mai ammetterlo apertamente. Ma lo zarismo ci ricordiamo come finì male, e il pallone sembra avere la stabilità della Russia dei primi del ‘900.

Nel giro di due settimane il protocollo è franato. Il fatto che tra i suoi mille rivoli non prevedesse direttive per la gestione di focolai nelle squadre è stato il primo segnale. Il rinvio della gara del Genoa travolto dai positivi, oltre a metter in dubbio l’efficacia del protocollo stesso (siamo così sicuri che sia pedissequamente seguito da atleti e società?), ne ha mostrato le prime buche. Alla fine si è compensato al vuoto di direttive rifacendosi a quelle Uefa, che dicono come in caso di contagi multipli si può giocare avendo 12 giocatori di movimento + 1 portiere a disposizione, e comunque si può chiedere un solo rinvio a stagione. Traducendo, la Uefa dice che si deve giocare a tutti i costi, e in teoria si sarebbe potuta disputare anche Genoa-Torino. Cosa impraticabile e quindi via con il rinvio.

Dopo questo, il caso Juventus-Napoli (con gli azzurri reduci dal 6-0 proprio contro il Genoa, valso 3 punti e due tamponi positivi, quelli di Zielinski e Elmas) ha svelato l’impotenza del protocollo, ha palesato quel privilegio zarista, ci ha detto che il Re è nudo e fa pure un po’ schifo da vedere. Juventus-Napoli ci ha urlato in faccia quello che in realtà sapevamo tutti ma facevamo in modo di non pensarci, ovvero che il circo del pallone, in questa situazione, può andare avanti solo con un regime di deroga permanente. Questo è il protocollo, al di là di tutte le prescrizioni tragicomiche. Nient’altro che la certificazione di come, per garantire l’industria del pallone, le prescrizioni di isolamento e quarantena per squadre e staff tecnici siano diverse da quelle dei comuni mortali. Il tutto, vidimato dal Ministero della Salute tramite circolare. Peccato che il Ministero della Salute, nel paese con la più balorda autonomia regionale di sempre, conti nulla rispetto a una qualsiasi asl territoriale, rispondente in ultimo solo alle giunte regionale grazie alla costituzionalmente garantita “competenza in materia di sanità”. Insomma, se il gioco si fa duro si arriva persino al conflitto di attribuzioni. Allora basta poco per far saltare il banco.

Al di là di ogni dietrologia sulle manovre oscure di De Laurentis (sulle quali, personalmente, posso intuire il come, ma mi lascia perplesso il perché), la non disputa di Juventus-Napoli è solo la sublimazione di uno scontro politico-amministrativo a tutto campo, in primis tra livelli dello Stato ma non solo, che anche sul pallone amano far decisionismo e al tempo stesso rimbalzarsi la responsabilità ultima delle decisioni per non scontentare nessuno.

I “fatto salvo il parere di” dei quali il protocollo è pieno facendo riferimento alle responsabilità delle asl, i ministri di sport e salute, nonché lo stesso CTS, che in sostanza hanno fatto spallucce sulla situazione, affermando in varie salse che sulla partita decidono gli organi sportivi ma i compiti di vigilanza spettano alle asl (che quindi devono attuarli?), l’asl campana stessa che sottolinea come la sua comunicazione sulla quarantena fiduciaria fosse solo l’iter ordinario per queste situazioni, divenuta forse prescrittiva per il Napoli con la mail inviata alla società dalla Regione, tutto questo fa miseramente franare la mitica forza normalizzatrice del protocollo. Quel pezzo di carta, un ukaz zarista che decreta come il pallone sia su un piano astrale diverso rispetto alla massa dei suoi seguaci che lo foraggiano, fa presto a perder qualsiasi forza se già uno qualsiasi dei boiari lo mette in dubbio.

Per inciso, nelle serie infime del calcio dilettantistico, questi fattarelli nel frattempo si ripetono su ampia scala. Perché lì i protocolli sanitari sono quasi ingestibili, e atleti che non hanno il calcio come lavoro non sono disposti a rischiare contagi e quarantene per disputare campionati fangosi dove l’igiene non è mai all’ordine del giorno. Negli slums del pallone, il protocollo vale già meno di zero. Non era così difficile che questo accadesse anche nella luccicante e blindata Serie A, sempre più a rischio di giocare solo per sé stessa e raccontarsi allo specchio che è ancora bellissima.

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Spadafora: “Protocollo efficace, va osservato con rigore da tutti”. Gravina: “Chi sbaglia, paga”

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