di Enrico Picone

È l’anno di Bukowski – da ora in poi B., giusto perché ci si distragga da “B.” altrettanto famosi – centenario della nascita e 26esimo anniversario della morte. Eppure siamo ancora in tempo per porgli delle domande chiave sul nostro rapporto con la letteratura, specie quella del Novecento.

Segue adesso una riflessione personalissima sul percorso letterario che desidero suggerire a chi soffre un rapporto scoraggiante con la lettura. Sento di dover inserire inoltre una seconda premessa, sperando di non peccare di presunzione: raramente mi pento di ciò che ho scelto di leggere. Lasciate dunque che mi presenti in qualità di lettore. Rinnego tutto ciò che ho letto prima dei 24 anni, quando ho iniziato un percorso letterario partendo proprio da Post Office. Ma ciò che mi lega a B. non è il sentimento di adorazione.

Già, perché a B. sarò infinitamente grato per essere stato il mio primo consulente letterario, piuttosto che per avermi infilzato con la sua ambigua personalità e stupefacente sensibilità di scrittore. È stato per me fondamentale perché mi ha parlato di Knut Hamsun, Céline e John Fante. Quest’ultimi da lui venerati come dei. I commenti su Fante si sprecano, e se avesse avuto la possibilità di conoscere personalmente anche Céline, probabilmente avremmo oggi la stessa quantità di autorevolissimo materiale per riscoprire due autori che rispettivamente scontano ancora oggi una definitiva consacrazione mai avvenuta e le accuse di antisemitismo.

Due parole ancora su John Fante: l’occasione della definitiva consacrazione ce la stiamo facendo scappare. Fante va riscoperto ora, in un momento storico in cui l’immigrazione ricorre come un argomento titanico che incombe sui concetti di identità, nazione, tradizione e alterità. Di edizioni recenti non ne mancano, e se così non fosse, le biblioteche continuano a custodire gran parte dei capolavori ignorati. Lasciamoci consigliare dal B. lettore, indaghiamo sulla sua biografia, rintracciamo nei romanzi l’“ansia da influenza” della quale scriveva Harold Bloom ne Il Canone Occidentale. In altre parole, poniamoci questa domanda: in che modo B. è diventato B.?

Domanda che dovrebbe insidiarsi nella coscienza degli aspiranti scrittori che vengono pubblicati – o che si autopubblicano – proponendo opere sterili privi di alcuna ispirazione – o dignità – letteraria. I grandi scrittori sono prima ancora degli eccellenti consulenti. Chiedete a Kurt Vonnegut quali fossero i suoi scrittori preferiti, e vi inviterà a leggere Mark Twain. In uno dei suoi romanzi, Kurt Vonnegut cita persino Morte a Credito di Céline, avrebbe da consigliarvi Pasto Nudo di Burroughs e Le Guide del Tramonto di Clarke. Perché non accettare i consigli sopravvissuti alla morte dei più grandi scrittori?

Riagganciandomi alla mia seconda premessa, raramente la scelta di un libro degenera nell’amaro rincrescimento. Mi è successo quando a Giovanni Papini ho preferito Sottomissione di Houellebecq. Non ho mai più letto Houellebecq e sono felice di aver fatto mio il Papini dimenticato. Mi sento fortunato ad aver letto il Male Oscuro di Giuseppe Berto prima di compiere trent’anni. E pensate un po’, a consigliarmi l’autore veneto è stato Hemingway, uno che nel bene o nel male rientrava tra gli autori fondamentali per B.

Dunque allora, non tutte le ricorrenze sono fine a se stesse. Che sia l’occasione buona per scoprire il piacere di interrogare i vostri scrittori preferiti? E nel caso in cui fosse proprio B., vi consiglio di invitare a fare parte della vostra personalissima biblioteca almeno uno fra Céline – il Viaggio? Morte a Credito? Perché no Guignol’s band I e II?

Anche se da ricercare tra i fuori catalogo – Knut Hamsun – Fame, o lo spregiudicato e sconcertante Pan – e John Fante – la saga di Arturo Bandini per innamorarsene, Una moglie per Dino Rossi per convincersi a continuare a leggere tutto il resto. È tempo di ammettere che troppe delle opere di vero genio non sono altro che general Tales of Ignored Madness.

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