Alla vigilia del voto, la faccenda si potrebbe riassumere così: ‘Campania, siccome immobile’. Sono almeno tre lustri che la politica nel Mezzogiorno ha abdicato alla sua funzione. Che Campania sarà quella dei prossimi 5 anni? E come sarà il futuro prossimo con il Recovery fund? Quali sono i progetti? Sanità, istruzione, tutela del territorio, formazione, innovazione, lavoro, inclusione, diritti, cultura: chi sarà votato a governare i processi di cambiamento sarà all’altezza della sfida?

Dando un’occhiata a destra e a manca c’è poco da essere ottimisti. Sul ‘palcoscenico’ sono saliti sempre gli stessi personaggi, alcuni dei quali in cerca di nuovi autori. Per lo più, stesse facce, solo un po’ più invecchiate. Liturgie sempre uguali, come del resto gli appartenenti alla compagnia di giro. Perfino gli slogan appaiono stanchi, vuoti e posticci.

È stata una campagna elettorale brutta, confusionaria, rissosa e piena di veleni. Forse solo nei piccoli comuni dell’hinterland di Napoli come Giugliano, Pomigliano, Caivano, forti della novità politica di riproporre l’inedita alleanza Pd-M5S, si è percepita una maggiore partecipazione delle persone, più passione e una genuina voglia di cambiamento.

Speranza è una parola grossa. Alla fine, senza scomodare Tomasi di Lampedusa, in Campania tutto è rimasto uguale e neppure si cerca l’apparente cambiamento. C’è Vincenzo De Luca, il favorito, candidato Pd e supportato da 14 liste. L’ex sceriffo di Salerno non va per il sottile: più che una coalizione, la sua sembra una grande, enorme arca di Noè. A bordo ci sono saliti proprio tutti: transfughi, trasformisti, riciclati, massoni, ex fascisti, smemorati, saltellanti quaglie, indagati, rinviati a giudizio.

E se la Commissione parlamentare antimafia dirama un elenco di impresentabili, nessuno si meraviglia se 5 sono stanziali nella coalizione di De Luca e 4 nelle fila delle liste di Stefano Caldoro, il candidato di centro destra ed ex governatore. Scandalo? Discussione? Polemiche? Dibattito? Nulla di niente. Anzi, c’è chi sbotta: “Iniziative per guadagnare qualche titolo di giornale. Sono cose di niente”. Eduardo De Filippo atterriva di fronte alle cose di niente. A furia di dire è cosa ‘e niente, si diventa cos’e nient.

Difficile orientarsi. Un criterio di buon senso potrebbe essere: votate tutti, tranne però i candidati impresentabili. Ecco: oltre all’apparenza, si fornirebbe un tenue segnale di legalità. Troppo ambizioso. Nessun candidato a presidente ha avuto il coraggio di dirlo. Sullo scacchiere dicevamo c’è anche Caldoro, l’invisibile, che al pari di De Luca sembra un usato poco sicuro. Vederlo a braccetto con Matteo Salvini e con Giorgia Meloni sul Lungomare partenopeo fa una certa impressione.

Chi segue la politica ricorda Caldoro, ministro dell’Attuazione del programma del governo di Silvio Berlusconi affiatatissimo con Nicola Cosentino, Luigi Cesaro, Mario Ladolfi e Italo Bocchino. C’è da segnalare al riguardo, proprio su Caldoro, un balzo in avanti della sua popolarità. Cosa da non credere. Merito dei cartonati a sua misura e immagine. Pare che riscuotano un certo successo, i maligni sussurrano che siano più interessanti dell’originale in carne ed ossa.

Poi c’è Valeria Ciarambino, consigliera uscente del Movimento 5 Stelle, conterranea e luogotenente di Luigi Di Maio che come 5 anni fa è ridiscesa in campo imponendo la sua candidatura come presidente e capolista. Non è una novità. Stessa trama del 2015. Molti si aspettavano di più dai 5 Stelle, a cominciare da una candidatura diversa e più coraggiosa. Così non è stato, purtroppo. In pratica si sono depotenziati da soli pur di soddisfare ambizioni, personalismi e tenere in equilibrio le correnti interne.

Alla fine poche idee, scarsa lettura della complessità dei problemi, propaganda a manetta e slogan: in pratica, il vuoto. Un po’ pochino per tentare il colpaccio oppure offrire una alternativa credibile ai cittadini campani. E pensare che proprio in Campania si poteva costruire un grande laboratorio politico nazionale e tentare di scrivere una nuova storia. Così non è stato. È mancato il coraggio, è mancata la politica, è mancata la determinazione di immaginarsi un mondo nuovo.

Alla finestra un ampio pezzo della società campana: dove sono i professionisti, gli imprenditori, gli intellettuali, il volontariato? C’è la netta sensazione di una scommessa persa. Certo qualsiasi patto è lecito pur di tener lontana la destra estrema di Salvini e Meloni. Sembra che tacitamente molti abbiano accettato la riverniciatura della vecchia carcassa del sistema De Luca.

Quest’ultimo poteva osare di più. Tentare il volo alto, sganciarsi dal ricatto dei notabili, reinventarsi. Invece è rimasto imprigionato nelle sue logiche della fritturina di pesce. Resta, insomma, una fotografia sbiadita di ciò che poteva essere e non è stato. È un sistema ingessato che si autoriproduce con i suoi rapporti di forza, le sue rendite di posizione, i suoi meccanismi. Peccato, il futuro bussa alla porta e noi quella porta la teniamo chiusa a doppia mandata.

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