Cinema

Mostra del Cinema di Venezia, Hopper/Welles: 130 minuti con due divinità laiche e sovversive del cinema

Avvenne nel 1970 per volere del regista di Citizen Kane, curioso di guardare in faccia colui che aveva “osato” dirigere un esordio destinato a diventare leggenda almeno quanto il suo.

di Anna Maria Pasetti

La sera che Citizen Kane incontrò Easy Rider c’era molto alcool sulla tavola e non meno fumo nell’aria. Difficile immaginare diversamente una chiacchierata fra queste due divinità laiche, maghi visionari, sovversivi per natura che – diversamente – avevano cambiato le regole del cinema. Avvenne nel 1970 per volere di Orson Welles, curioso di guardare in faccia colui che aveva “osato” dirigere un esordio destinato a diventare leggenda almeno quanto il suo. Entrambi erano immersi nei loro nuovi film, da una parte Welles alle prese con The Other Side of the Wind e dall’altra Dennis Hopper al montaggio del folle The Last Movie (Fuga da Hollywood). “Documento” totalmente inedito al pubblico, la Mostra di Venezia ha portato Hopper/Welles in premiere mondiale, offrendo agli spettatori un autentico cimelio dal valore inestimabile per chiunque voglia studiare, capire, godere della Settima Arte.

Inquadrato col suo cappello da cowboy e barba incolta, il giovane Hopper vibra nel bianco&nero senza tempo davanti allo sguardo imperioso del vecchio collega, iconoclasta per definizione e dunque insensibile anche all’icona costruita dallo star system sulla figura di Hopper, bello e selvaggio come dalla miglior cover di Life. E infatti non gli dà tregua: dopo un avvio soft, il regista dell’Infernale Quinlan inizia a martellare Dennis provocandone silenzi e sorrisi di “chi non sa rispondere”. Ma Orson non si arrende perché intuisce – o già sa – che il giovane Hopper ha stoffa da vendere, è solo necessario che esprima con chiarezza le sue idee, la sua visione di mondo. Ma a poco più di 30 anni, e nell’ideologico 1970, è facile che un ragazzo si confonda di retorica: Dennis intimorito da Orson cade quindi nella generalizzazione che fa arrabbiare l’intervistatore “non cambiare argomento, rispondi alla domanda!”. Nei 130 meravigliosi minuti di durata dal film i due si intrattengono sulla qualunque, sfiorando quesiti sull’universo mondo ed approfondendo quelli sul cinema: cosa significa bellezza nel cinema, il regista come dio o come mago, il senso e il valore di fare cinema, il futuro dei giovani americani, cosa sono gli attori, il valore della televisione, della lettura, del sogno, della pace e della guerra. In definitiva una cine-masterclass ante litteram che speriamo possa nutrire gli spettatori italiani nei cinema o in tv.

Tornando in Italia ma senza diminuire la portata d’interesse, arriva in concorso nella sezione Orizzonti il nuovo lavoro di Martina Parenti e Massimo D’Anolfi (concorrenti al Lido nel 2016 con Spira Mirabilis), Guerra e pace. Aperto a mille possibilità narrative, il documentario le focalizza sulla memoria dei conflitti, indagandone gli effetti nell’immaginario (anche letteralmente inteso) e dunque nella Storia. Che tracce lasciano le guerre? E ancora, come si filma la guerra, o come si filma la pace? A tali domande reagisce il testo, affermando che c’è un passato “registrato” da salvaguardare (anche restaurare) e diffondere, c’è un presente da “(de)scrivere”, c’è un futuro da prevenire grazie alla trasmissione dei due precedenti. Il film quadripartito in capitoli si apre con il gesto del restauro delle pellicole filmate dai pionieri del Luce in Libia nel 1911, continua con l’eccezionale produzione di mappe digitali sulle guerre in corso nell’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri, avanza con i giovanissimi militari francesi che “imparano” a fare riprese del loro apprendistato, e si chiude sugli archivi della Cri raccolti nella Cineteca Svizzera di Losanna in cui le guerre sono “proiettate” sugli scaffali. Intelligente e ben documentato, Guerra e pace è un bellissimo film sulla ricerca dell’immanenza, della materia frammentata che deve essere organizzata affinché diventi Memoria per tutti. Uscirà prossimamente per l’Istituto Luce.

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