Nel 1966 Lucillo Lievore ha 25 anni e dopo una discreta carriera da dilettante è al primo Giro d’Italia. I suoi maestri, tra i quali Gino Bartali e Ercole Baldini, gli hanno insegnato a vivere la corsa sempre all’attacco. Alla penultima tappa che arriva a Vittorio Veneto dà battaglia sin dal principio. Raggiunge 38 minuti di vantaggio sul gruppo e qui lo affianca in moto Sergio Zavoli, scomparso mercoledì 5 agosto a 96 anni. Quello del giornalista Rai al lavoro per il suo Processo alla Tappa è un colpo di genio. Via via che scorrono i chilometri gli chiede di tutto, anche cose riguardanti la sfera privata. L’umanità del ciclista vicentino nelle risposte è pari alla capacità di Zavoli nel sapere stuzzicare le corde giuste.
“Una bella soddisfazione, eh Lievore?”.
“Mi prendono”.
“Ma non dica così, ha ancora una quindicina di minuti sul gruppo!”.
“Non ci credo. Ma quanta salita c’è ancora?”.
“È quasi finita. Coraggio, Lievore!”.
“Non credo, prima o poi mi prendono”.
“Ma perché lei è ossessionato da questo pensiero? Ha un margine sufficiente”.
“Eh ma sono in crisi adesso”.
La tappa la vincerà Pietro Scandelli, Lievore taglierà il traguardo per secondo, resistendo però al gruppone dietro che si faceva sempre più vicino. Nell’interrogatorio di Zavoli ci fu spazio anche per un “Lievore, lei è fidanzato?”. “No”. “Che mestiere faceva prima?” “Il muratore”. Lievore è stravolto, ma risponde. In italiano, talvolta inserendo un po’ di dialetto vicentino.
“Non riesco a parlare, mi viene da piangere. Mi prendono, dietro”. L’intervista diventa quasi comica, tanto da ispirare storiche parodie interpretate da Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi. Lievore in quel Giro d’Italia era gregario del velocista Marino Basso, a cui tirava le volate. Ha chiuso con il ciclismo nel 1972 dopo aver conquistato due maglie nere per l’ultimo posto nella classifica generale della Corsa Rosa. Al Processo alla Tappa di quel giorno Zavoli dirà: “Ho martirizzato questo giovanotto”. Ma Lievore ha solo e sempre apprezzato il suo atteggiamento, come racconta ancora oggi a 80 anni a ilfattoquotidiano.it: “Non cercava solo i campioni, ma anche i comprimari come me”.

Nel 1966 non aveva ancora la fidanzata?
Avrei incontrato quella che sarebbe diventata mia moglie due anni dopo. Abitava vicino a casa mia e andavo a trovarla in bici.
L’episodio con Zavoli lo ha inserito nella storia popolare dell’Italia, anche per gli sketch di Vianello e Tognazzi che fanno ridere ancora oggi.
Ricordo bene quei momenti. Zavoli si è avvicinato e io non conoscevo bene la situazione della corsa. Mi ha incitato, mi è stato d’aiuto. Persone come Zavoli non se ne trovano più, lui non cercava solo i campioni ma anche i comprimari come me che non venivano considerati da nessuno. Io ho risposto a tutte le domande, in maniera spontanea. Sei in fuga, hai un giornalista di quel livello che fa la cronaca mentre corri, penso sia il massimo.
Nel suo paese, Breganze, divenne un eroe?
Quando si sparse la voce del compaesano protagonista al Giro d’Italia, le aziende agricole lasciarono al pomeriggio i propri dipendenti a casa e tutti andarono al bar di paese a tifare. Mi conoscevano tutti, al rientro mi hanno fatto una festa come avessi portato a casa la maglia rosa.
Lei e Zavoli vi siete mai incontrati dopo quella tappa?
Tanti anni dopo ad un evento. Mi fece i complimenti per la mia famiglia e mi disse: “Nessun corridore avrà mai un filmato del genere, ho voluto omaggiare ciclisti come te che in bici soffrono sempre tanto”.
Ora, con il fratello Luigi, ha aperto un’azienda di detersivi industriali. E la bici?
Il ciclismo lo seguo ancora, mi piace andare in zona a vedere i dilettanti e i giovani. Il resto lo guardo in tv, ma è un ciclismo diverso, una volta ci fermavamo dopo la corsa a salutare il pubblico, oggi salgono immediatamente in bus e scappano. Non è più il ciclismo dei miei tempi e di Sergio Zavoli.

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