Ho sempre detestato i “finali di stagione”, l’ultima puntata di una serie tv e chissà, poi, se ce ne sarà un’altra, mi capita sempre di pensare che vorrei non finissero mai ed è un po’ quello che è successo alla fine di Milan-Cagliari, dopo il 3 a 0 che suggella la fine del campionato post Covid, con quel quadretto di fine partita da libro Cuore del calcio, il bravo Jack Bonaventura che resta solo in mezzo al campo di San Siro, si china, bacia il terreno, e commosso, con le lacrime che gli rigano il volto, se ne va lentamente, per l’ultima volta, nel silenzio tombale dello stadio verso gli spogliatoi del Milan, sapendo che non indosserà più la maglia rossonera numero 5. Gli addii nello sport sono atroci. Le reazioni dei tifosi sono state unanime: “Meritava la riconferma, è un bravo ragazzo”. Un tenerone che aveva già pianto alla firma con il Milan…

Mah. Chissà. Vedi Pioli. Tutti lo davano per stecchito e invece è ben saldo alla guida del Diavolo. Giustamente. Ora, Bonaventura è sempre stato, nei sei anni in cui è rimasto al Milan, un buon giocatore, talvolta determinante. Fossi io il padrone della squadra lo terrei. La vita, però, è un’amara battaglia, il mondo del pallone non è che un palcoscenico – in queste ultime settimane vuoto, senza pubblico, cioè senza cuore – dove conta come te la giochi, non solo come giochi. E Bonaventura, secondo chi si spaccia pèer bene informato, si sarebbe già accasato con il Benevento di Pippo Inzaghi, anche se l’Atalanta, la sua vecchia squadra, ci starebbe facendo su un pensierino.

Meglio cambiare argomento. Parliamo di Zlatan Ibrahimovic, per esempio. Il suo congedo, mi auguro provvisorio, da questo irrazionale strascico di campionato, è stato contraddittorio, come in fondo lo è lui stesso. Nel bene e nel male. Ha sbagliato un rigore. Ha toppato una rete facile facile. Poi ha segnato con un siluro dei suoi. Tutto e il contrario di tutto.

Sui social si è autoincensato: “Il Dio del calcio”. Che sia una star del calcio non lo mette in dubbio nessuno. Ha segnato dieci gol in diciotto partite, sbagliando due rigori ma gestendo l’attacco milanista con maestria e creatività. Può ancora dare molto, nonostante stia sfiorando i 39 anni. E’ dinamico, imperiale. E’ un giocatore carismatico: dunque, una stella polare per i compagni di squadra, soprattutto per i più giovani che lo venerano. E’ un trascinatore. Ma anche un perfezionista. Avere Ibra in campo e nello spogliatoio sarebbe vitale anche per la prossima stagione. E’ un valore aggiunto, magari caro, ma i soldi del suo ingaggio sono bene investiti.

Il Milan non dovrebbe avere dubbi nel rinnovargli il contratto. Secondo Sportmediaset sarebbe cosa già fatta, mancano solo i dettagli. Paolo Maldini afferma che Ibrahimovic è “parte del progetto”. Il Corriere della Sera è più specifico: “Milan, la ricostruzione parte da Ibra. Rinnovo da 6 milioni, poi altri tre colpi…”. Contratto di un anno e opzione legata alla Champions. Speriamo. Non vedo l’ora di seguire la seconda stagione…

Che dire, per il resto? Il Milan dopo la ripartenza ha sbalordito: nessuna squadra del campionato di serie A ha fatto meglio in questo straordinario spezzone di serie A, unica formazione imbattuta: 30 punti e 35 gol, meglio del Manchester City, il Diavolo infatti ha il miglior attacco post-contenimento, con una media gol di 2,92 a partita. Tuttosport l’ha enfaticamente titolato: “Pioli e i suoi hanno vinto lo scudetto del lockdown”. Numeri eloquenti, non chiacchiere da Bar Sport.

Sebbene sia corretto ricordare che l’anno scorso, con Rino Gattuso in panchina, il Milan fu quinto sfiorando la Champions per un misero punticino. In classifica segnò 68 punti, contro i 66 di adesso che lo relegano al sesto posto. Vale l’accesso all’Europa League, ma dalla porta di servizio, quella dei preliminari. Se però consideriamo il girone di ritorno nella sua interezza, il Milan è secondo dietro l’Atalanta, mentre quando Pioli raccatta la squadra il Milan era quattordicesimo. Vorrà pur dire qualcosa, no? Ogni “finale di stagione” è tempo di bilanci e consuntivi. Quelli del Milan sembrano intriganti: premesse che sono più che promesse.

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