Il turismo ha le sue regole. Deve produrre numeri e per questo fare rete tra “le attrazioni” è importante. Anzi, fondamentale. Altrimenti il rischio è quello che si possano creare delle zone d’ombra. Insomma che i flussi si concentrino in un sito, ignorandone un altro, magari non lontano geograficamente e comunque ugualmente “interessante”. In questo ambito l’archeologia subacquea sembra offrire grandi potenzialità. Che gli organizzatori della 23esima edizione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, in programma a Paestum dal 19 al 22 novembre, non vorrebbero lasciare inespresse.

L’idea semplice, per certi versi, ma tutt’altro che agevole da realizzarsi. Creare la rete degli “Itinerari Culturali dei siti sommersi del Mediterraneo“, che comprenda Campania, Puglia, Sicilia, Egitto, Grecia e Israele attraverso i loro siti sommersi.

I siti sommersi del Parco Archeologico dei Campi Flegrei? Straordinari! Ma non (di) meno di quelli delle Tremiti. E che dire di quelli di Ustica-Egadi-Pantelleria? Una meraviglia! Per non parlare di quelli di Alessandria d’Egitto, di Pavlopetri e di Caesarea Maritima. Tutti “belli” e “interessanti” singolarmente. Ancora di più se inseriti in un racconto che attraversa luoghi geograficamente lontani e siti cronologicamente differenti. Un progetto nel quale si dovrebbero coniugare turismo responsabile e sviluppo sostenibile, come spiegano gli organizzatori della Borsa.

La circostanza che la Rete verrà intitolata alla memoria di Sebastiano Tusa, “archeologo e studioso che ha vissuto al servizio delle istituzioni per contribuire allo sviluppo locale e alla tutela del Mediterraneo” è senz’altro un buon inizio. Ma ci sarà da lavorare a livello internazionale, è più che probabile. Ancora di più in Italia. Non tanto per attrarre turisti, affascinati dalla prospettiva di immergersi per osservare le bellezze archeologiche. Nuovi turisti, s’ìntende. Perché la base di partenza è cospicua.

Sono, infatti, circa 30 milioni i subacquei certificati a livello mondiale e circa 6 milioni quelli che si sono “tuffati” almeno una volta senza certificazione. Quel che sembra meno agevole sarà fare in modo che il più che probabile incremento delle immersioni nei siti della Rete non comporti potenziali pericoli per la loro tutela. Perché è indubbio che il fine ultimo di ogni scoperta archeologica sia la sua pubblica fruizione. E’ fuori discussione che anche i siti che ora si trovano al disotto delle acque del mare debbano essere patrimonio di tutti.

Ma in ogni caso è necessario che venga salvaguardata la loro integrità. Evitando che, come non infrequentemente accade nei siti archeologici in superficie, qualche visitatore decida di portar via un “ricordo”. Qualche tessera di mosaico, un laterizio e qualunque altro elemento costruttivo asportabile senza grande difficoltà. L’archeologia, compresa quella subacquea, non contempla il souvenir. Permette la contemplazione, ma non l’asportazione.

“Facile imbattersi inaspettatamente sott’acqua in un reperto storico, essendo stata l’isola utilizzata in passato quale riparo dei naviganti delle mareggiate. Ad esempio, nei pressi della Grotta Azzurra giacciono i resti di un relitto romano del I secolo a. C.”. Un testo ad uso turistico realizzato alcuni anni fa dal Comune di Ustica reclamizzava in questa maniera i fondali che circondavano l’isola.

Le intenzioni del testo senz’altro delle migliori. Impossibile dubitarne. Anche se appare evidente il tentativo di solleticare l’istinto predatorio e avventuristico del turista. D’altra parte se i “reperti” appaiono “inaspettatamente”, è probabile che siano numerosi e dunque perché privarsi del souvenir?

“L’obiettivo è arrivare a far sì che le centinaia di migliaia di subacquei che ad ogni stagione perlustrano i nostri mari si abituino a considerare i reperti archeologici come parte integrante e inseparabile del paesaggio sommerso, intoccabili come le stelle alpine e l’orso bruno, nel nostro caso come elementi unici e irripetibili dell’ecosistema Storia”. Piero Pruneti, da anni organizzatore di corsi di archeologia subacquea, non ha dubbi. La didattica è imprescindibile. Altrimenti si rischia l’effetto supermarket.

La Rete dei siti sommersi del Mediterraneo è una buona idea. Ma perché si concretizzi, divenendo una reale risorsa per i territori, è necessario che gli strumenti di tutela vengano accresciuti. E contemporaneamente che la comunicazione venga pensata in maniera corretta. Attraendo senza stravolgere. Il regalo che ci si fa è osservare, senza prendere. Muovendosi in contesti che spesso offrono anche apprezzabilissimi aspetti naturalistici. Si può essere turisti anche in maniera responsabile.

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