Musica

Benny Benassi, il dj e produttore da Grammy si racconta a FQMagazine: “Lo stop forzato alle serate mi ha dato un’idea: ecco come vi farò ballare”

Dj e produttore, ha vinto un Grammy e prodotto successi per Madonna, Chris Brown e tanti altri pesi massimi della musica mondiale. Al Fatto racconta la sua storia, i suoi successi e il nuovo progetto Panorama 

di Alberto Scotti

Benny Benassi è uno dei più grandi talenti musicali italiani riconosciuti a livello internazionale. Alla pari di personaggi come Andrea Bocelli, Giorgio Moroder, Laura Pausini o Eros Ramazzotti. Uno dei quei dj ad aver ottenuto una fama che va oltre i titoli dei suoi pezzi. Di Benassi si riconosce il volto, si sa chi, cosa fa; è l’autore di ’Satisfaction’ e da lì (era il 2002) ha iniziato una lunga cavalcata che l’ha portato al successo mondiale, a produrre hit per Madonna, Chris Brown, a lavorare con Skrillex, Mika, Kelis, e molti nomi di primissimo piano del music biz. Tra i tanti premi e riconoscimenti ottenuti in una lunga e gloriosa carriera, ha anche vinto un Grammy Award. E in America come a Ibiza è famoso quanto i suoi colleghi più illustri (tra l’altro, è incredibile come gli artisti italiani più noti nel mondo siano perlopiù dei dj, e come invece nel nostro Paese sembrino snobbati dai media).

Benassi ha approfittato dello stop forzato al consueto, enorme numero di serate in programma (colpa ovviamente del lockdown e dei postumi della fase di chiusura dovuta al Covid-19) per intraprendere un percorso nuovo, per mettere in risalto sia l’arte del dj, sia l’arte del Belpaese. Il suo progetto Panorama infatti consiste in una serie di video in cui Benny suona in alcuni dei più famosi e suggestivi monumenti e luoghi italiani, a porte chiuse, valorizzando così la musica e i panorami, nella loro purezza. Ma di questo e di molto altro ci racconta Benassi stesso, a partire dalle sue origini fino alla passione per la bici e al suo metodo di lavoro in studio.

Iniziamo dalla fine: stai per lanciare un progetto nuovo e molto suggestivo, che va al di là delle performance in streaming che abbiamo visto nei mesi passati. Ci parli di Panorama?
Panorama è qualcosa di inedito, credo. Esistono dei format in cui si vedono dei dj esibirsi in spazi spettacolari ma qui l’idea è molto precisa, mi sembrava bello e doveroso rendere omaggio alla nostra Italia che durante il periodo duro della pandemia ha subìto dei contraccolpi molto pesanti. Quindi ho pensato di registrare dei set in luoghi speciali, monumenti storici e posti di interesse naturalistico, dove eravamo solo io e la consolle da dj, ma dove saremo in tantissimi a fruire poi dello show in streaming. L’idea di Panorama è nata durante una serie di dj set fatti da casa durante il lockdown sul mio profilo Instagram: tutti commentavano la mia taverna con i vinili, e ho pensato che sarebbe stato bello fare dei set in alcuni dei tantissimi luoghi meravigliosi che abbiamo in Italia. Le Cinque Terre, la Torre di Vernazza a picco sul mare…

Sai già quanti episodi saranno?
Abbiamo tre puntate già finite e montate, probabilmente usciranno entro le prime due settimane di agosto: la prima è quella di Verona, all’Arena con Dardust, con cui ho in programma un brano in uscita presto, e il pittore Agron Hoti. Abbiamo chiesto al direttore artistico dell’Arena di Verona di poter registrare un set lì, e l’Arena spoglia di allestimenti e pubblico è incantevole, è “nuda”. Dardust ha portato il pianoforte, è stata un’esperienza da brividi. Vogliamo fare in tutto almeno cinque/sei puntate. Stiamo capendo come uscire, su quali canali, YouTube è un mondo che conosco poco, ogni tanto ho bisogno di “corsi di formazione”, con youtuber e ragazzi che conoscono le dinamiche del web e dei social meglio di me.

È strano sentir dire una frase come questa da una superstar, sembra che tutti siano sempre abili in tutto, dalla lente dei social.
Ma la verità è che non è così, non è possibile. Io cerco di sentire il parere di gente più giovane e con maggiore famigliarità con certi mezzi. Guardo mio nipote, ha dodici anni, segue i gamer, è chiaro che quel mondo non mi appartiene, io sono del ’67, ho 53 anni… ma devo restare informato, sul pezzo, fa parte del mio mestiere. Così ho coinvolto Klaus, uno youtuber che oltre ad avere tantissimo seguito trovo davvero in gamba, colto, intelligente, per discutere di social e di web. È un grande. Abbiamo in mente di girare dei video per sensibilizzare le persone sul tema della responsabilità di automobilisti e ciclisti. Perché anche chi va in bici spesso è senza regole proprio come chi è al volante. E lo dico da ciclista.

La tua passione per le due ruote è nota, hai fatto anche un tour anni fa tutto in bici, non è vero?
Sì, nel 2010 avevo un tour di diverse date in California e decisi di spostarmi da una città all’altra in bici. La California è paesaggisticamente splendida ed è un po’ come l’Italia, per molti versi: dimensioni e panorami, con le colline, il mare, la costa. Da molti anni vado in bicicletta ed è una mia grande passione. È quasi una pratica di decompressione da una vita passata tra aerei, club, hotel studio.

Una vita frenetica che la pandemia esplosa in tutto il mondo ha interrotto bruscamente. Come vedi la ripresa dei club ora che con cautela si sta riaprendo, perlomeno in Italia?
Ci sto pensando spesso, come puoi immaginare. Come la vedo? O meglio, come sta andando? Io ho una data ad agosto in Puglia alla Praja di Gallipoli, ne sto chiudendo altre ma non tantissime, perché prima di tutto voglio capire se ci sono i margini, la sicurezza, se i rischi per tutti sono contenuti o se invece la situazione può sfuggire di mano. Perché il clubbing con le distanze è impossibile, siamo sinceri. Non siamo seduti a un tavolo, la pista è fatta per stare vicini, conoscere gente nuova, stare insieme. È un momento davvero strano, capisco gli imprenditori che devono aprire, i ragazzi che vogliono fare festa, sono rivendicazioni legittime, sacrosante. Ma d’altra parte c’è un virus cattivo come una bestia, e non va sottovalutato proprio ora. Penso a mio padre che è molto anziano, alle persone che sono più esposte, penso ai miei amici medici che mi dicono quanto davvero il Covid sia aggressivo e da non sottovalutare proprio ora. Sono in difficoltà, come tutti, è una cosa più grande di noi.

Parlando di locali, Riccione, nonostante la frenata dovuta alla pandemia, sembra stia tornando prepotentemente sulla mappa internazionale: investimenti importanti, nuove aperture, riaperture, e soprattutto il posto dove stanno andando a suonare molti dj internazionali visto che i club sono aperti. Qual è la tua idea?
Ammiro molto gli imprenditori che hanno deciso di investire in questo momento: Musica Riccione, con il gruppo Cipriani e Tito Pinton, un protagonista della storia della musica e della notte in Italia. Ci hanno creduto e ci investono, hanno diversi artisti prestigiosi in calendario e stanno gestendo molto bene la comunicazione sul “cambio di rotta” necessario viste le restrizioni da Covid. Il gruppo del nuovo Cocoricò, che è una riapertura importante, perché il Cocco è il club italiano più famoso e iconico in tutto il mondo, la sua chiusura era davvero una notizia triste, è bello sapere che riaprirà. La Villa Delle Rose, che sta già ospitando nomi internazionali di primo piano. Riccione è stato un grande riferimento, per parecchi anni se l’è giocata con Ibiza per la qualità dei locali e dei dj, e se la Riviera torna ad essere al centro del nostro mondo è una grande cosa anche per il turismo in generale.

Ibiza, invece?
Si è molto trasformata, è un’isola più lussuosa, che punta meno al turismo low cost e più alle cifre esagerate di chi ha ampia disponibilità economica. Cosa che si traduce nei superclub dai prezzi spesso proibitivi per tavoli e bottiglie e nelle feste private in barca e nelle case, nelle ville. Io sto bene a Ibiza, ma perché mi diverto a stare fuori dai circuiti soliti, me la godo dall’altro lato, quello della natura e della tranquillità. Se invece vogliamo parlare di discoteche, quest’anno il clubbing lì è un casino, i club sono chiusi da una legge del governo delle Baleari.

Hai detto che suonerai poco in giro selezionando le date, e ci hai raccontato di Panorama. Cos’altro hai in programma per l’anomala estate 2020?
Venerdì 17 luglio è uscito ‘I’ll Be Your Friend’, il mio pezzo nuovo insieme al grande CeCe Rogers, un cantante americano, una voce incredibile di tantissimi dischi gospel, soul, funk e house. Un pezzo d storia. Io lo seguivo dall’88, ci conosciamo ma non c’era mai stata occasione di lavorare insieme. Abbiamo preso un sample, un campionamento, da un pezzo house della storica etichetta inglese Defected, che ce l’ha concesso in licenza, e ho pensato che la sua voce sarebbe stata perfetta su quella strumentale. Il brano esce con Ultra, l’etichetta discografica americana che pubblica i miei lavori.

Il tuo è un successo che dura da vent’anni in ambito internazionale, ma molti non sanno che prima di esplodere con ‘Satisfaction’ nelle classifiche e nelle radio di mezzo mondo avevi già una carriera di tutto rispetto.
Faccio il dj dal 1986, andavo a comprare i dischi in un negozio della mia zona, io sono di Reggio Emilia, e mi dicevano che c’era un locale dove cercavano un dj. Ho fatto il provino in questa discoteca sulle montagne di Reggio, OK Club era il nome, un martedì. Il provino era una sequenza di dischi che mi ero provato e riprovato a casa, e a quanto pare era piaciuta. Mi chiamano il venerdì e mi dicono “domani vieni qui da noi?” E io “ok, sì, chi suona?” E loro: “Tu!”. Così ho cominciato, tutti i sabati e le domeniche pomeriggio. A quei tempi i dischi non li portavano i dj, ma erano di proprietà delle discoteche, li compravano e li lasciavano in consolle. Io integravo con cose che mi piacevano.

E dall’OK Club?
Ah, da lì tantissimi locali dell’Emilia e poi anche in Romagna, per anni suonai al mitico Byblos, ero un resident abbastanza affermato durante gli anni ’90. All’epoca il dj resident, che suonava sempre negli stessi posti, era un uso comune, ed era una realtà che ti dava un sostentamento economico sicuro. Non si guadagnava come le prime star della consolle che iniziavano ad esser chiamate in giro per l’Italia, ma le entrate erano discrete.

Dopo ‘Satisfaction’ sei diventato un nome internazionale, hai vissuto, anche anticipandoli, gli anni d’oro dell’EDM, il genere che ha spopolato nella prima parte degli anni ’10 lanciando definitivamente i dj come popstar. Ora qual è il trend, come suona la dance post-EDM?
Viviamo una di quelle fasi interessanti che io chiamo “di laboratorio”, ora c’è la techno e c’è la house, si sono rinnovate, sono forti ma ancora molto underground. È sempre un ciclo, per cui c’è un periodo di incubazione, poi inizia la contaminazione e il genere diventa grande, popolare, e se funziona diventa pop. Ad esempio ai tempi di ‘Satisfaction’, una volta arrivato il successo del pezzo, sono prima arrivate le richieste di remix: Moby, Outkast, artisti importanti ma curiosi di esplorare arrangiamenti diversi; il suono era ancora underground ma più “grosso”. Poi gli artisti pop si sono stufati dell’hip hop che andava di moda allora, e parlo dei primi anni ’10, e ci hanno cercato per produrre dei pezzi originali, e lì è esploso il pop con la dance, poi è arrivata l’EDM che ha conquistato tutto, è stata la moda per qualche anno. Oggi c’è la techno, e infatti il rap con la techno si sente sempre più spesso, perché sono i due trend che funzionano, pensa a Salmo, Ghali, Anna. Adesso secondo me arriva la house, è cool avere pochi suoni, la cassa dritta, mentre la trap è già in discesa, è satura di produzioni troppo simili tra loro. A me piace molto il suono house, condivido lo studio con i ragazzi del mio team e sento che l’energia è lì.

Hai detto una parola magica: team. Quanto è importante fare squadra?
Dietro ogni successo c’è un team, dietro il mio c’è stato mio cugino Alle, musicista co-produttore di molti miei pezzi per lungo tempo, e il mio manager Paul. Quando si ha successo è facile dimenticarsi che il lavoro di team è quello che funziona, e pensare di essere bravi da soli. Ma non è così. Oggi in studio ho un ragazzo bravissimo nel mix, un altro che invece ha mille idee al giorno, poi c’è Andrea Mazza che ha la mia età e una cultura musicale enciclopedica, un giovane che si occupa di Spotify e di quell’aspetto del lavoro. Un team è difficile da gestire, ci sono in ballo l’ego, le persone, i caratteri… io cerco di mettere insieme persone che possono convivere con equilibrio. Come una band. C’è un gap di età, abitudini, idee, tutto… quando arriva un remix facciamo un minuto di brain-storming e poi io ascolto le idee di tutti senza sapere di chi sono, faccio numerare i file in modo anonimo. Poi da lì viene fuori l’insieme di elementi che funzionano. La squadra per me è davvero fondamentale.

Nell’ambiente parlano sempre tutti bene di te: hai vinto un Grammy, lavorato con Madonna, Skrillex, hai suonato nei festival più importanti del pianeta e sei sulla cresta dell’onda da vent’anni. Eppure sei un uomo alla mano, gentile, mai spocchioso. Domanda da un milione di dollari: come si resta umili?
Domanda imbarazzante! La mia compagna mi aiuta molto a gestire l’ego. All’inizio, da resident avevo un ego, c’era un pubblico fisso, mi conosceva e quasi “idolatrava” se mi passi il termine. Bisogna imparare a capire le situazioni. Un manager più vecchio di me e molto appassionato è una fortuna, lui si diverte e ama i dj ma non va nei club ogni sera, li guarda “da fuori” e mi dice cosa va e cosa no. La mia famiglia non viene sempre a sentirmi, ho una vita fuori dal circuito dei locali e delle feste ed è importante. Io cerco di controllarmi. Sui social passa il messaggio che una star faccia tutto il giorno la star, ma fuori da Instagram la vita vera è andare a fare la spesa, in banca, per me in bici, o dal panettiere. Un gamer giocano due ore al giorno, poi magari studia, dà esami a scuola o va al lavoro. David Guetta sta in studio o guarda i contratti, mica passa tutto il giorno in barca come sembra. Poi sai cosa aiuta? L’Italia. La provincia. Il paese dove tutti i conoscono da quando eri ragazzino ti tiene i piedi per terra.

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